domenica 29 aprile 2018

V Domenica di Pasqua: Rimanere


“Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5).
Dove noi rimaniamo, dove stiamo?
Normalmente dove sentiamo la presenza dell’amore, dove lo vediamo e lo tocchiamo.
Quindi rimaniamo se riusciamo ad amare.
Rimanere però non è un verbo molto amato oggi: dà l’idea di staticità, mentre, nel contesto odierno, tutto si basa sulla velocità, sul distacco. Anche quando si tratta di vivere insieme si dice: - Proviamo se va… Crediamo poco alla fedeltà che giorno dopo giorno costruisce rapporti.
Rimanere, stare attaccato alla vite, invece significa continuare a generare frutti.
Solo chi sta in Gesù riesce a rimanere: non in maniera statica, ma rimanere con il cuore, mentre i piedi e le mani vanno, sono in movimento…
Dove vivo l’esperienza del rimanere? Dov’è il luogo in cui Dio mi ha posto? Come rimango, con docilità ed entusiasmo oppure con durezza e affanno?
Devo prendere esempio dal rimanere di Cristo che santifica la mia vita e tutto quello che faccio.
Tutto ciò che compio rimane, la conseguenza di tutto ciò che faccio rimane nella storia, anche il gesto più semplice come preparare un piatto per il figlio che arriva in casa è grande se fatto in Cristo.
Ciò da un respiro enorme alla nostra vita.
Il mondo invece ci classifica in base a ciò che siamo e facciamo, in base ai nostri biglietti di visita.
Mentre se sono di Cristo, tutto porta lui, non dobbiamo più preoccuparci di apparire, di giustificarci…
Anche davanti all’incuranza degli altri che non si accorgono delle mie difficoltà delle mie fatiche, se rimango in Gesù non c’è lacrima che non venga raccolta nel suo otre. Questo va nell’eterno, questo rimane…
San Paolo dopo la caduta da cavallo in cui ha vissuto la cecità anche del cuore. Ha avuto bisogno di anni di conversione.
Il suo cammino di introduzione alla chiesa non è stato facile, Barnaba e Anania lo hanno aiutato.
La chiesa è un luogo dove siamo con le braccia aperte, come il tralcio che sta tra la vite e il frutto.
Paolo ha imparato a stare in mezzo, a non essere la vite e non contare i frutti.
Ciò fa ripensare al verbo rimanere, perché Cristo possa passare nella vita degli altri.
Ma io sono contento di essere un tralcio, o lo trovo inopportuno?
Vorrei essere vite da cui tutti dipendono, oppure solo un frutto che raccoglie la fatica degli altri?
Gesù ci chiede di essere tralci, di stare in mezzo, far passare la vite e donare i frutti.
Paolo rimanendo in mezzo potrà scrivere pagine stupende come “Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me”.
Anche noi abbiamo bisogno di qualcuno che ci introduca, che poti tutto quello che è superficiale.
La vite quando è potata piange rimane spoglia rugosa, brutta all’apparenza, ma è così bello vedere le sue foglie che partono da un tronco che sembra morto e diventano di un verde sgargiante, poi rosse destando ammirazione.
Quindi anche su di noi, nonostante siamo storti e deboli, spunta la vita ed è una vita feconda che germoglia…
Amen
(Trascrizione non rivista dall’autrice)


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