domenica 27 maggio 2018

Ss.TRINITA': Io sono con voi...

A. Durer Adorazione della Santissima Trinità, 1511

Facciamo festa al Padre al Figlio e allo Spirito Santo, facciamo festa alla comunione.
Dovremmo far festa per tutte le comunità, per tutte le famiglie, perché il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo formano un “noi”.
Ecco l’amore del Padre circola nel Figlio e l’amore tra Padre e Figlio procede, attraverso lo Spirito Santo, e arriva a noi. Quindi c’è un libero movimento uno dentro all’altro, senza violenza senza che l’altro si senta preso nel suo territorio. Tanta libertà pur nella dipendenza…
Come vive come si origina la mia famiglia, la mia comunità?
Dobbiamo capire che se una comunità, una famiglia non vuole ammalarsi o addirittura morire, ha bisogno che ciascuno dei membri si disponga a dare agli altri la propria presenza. Non possiamo fare a meno di donare noi stessi perché l’altro viva, cioè l’amore trinitario alimenta la vita d’amore tra le persone.
Dobbiamo pensarci come un corpo: se dovesse mancare un piede, un occhio, una mano, ci sarebbero molte difficoltà a vivere…
Tutte le volte che ci sottraiamo al luogo nel quale il Signore ci ha posto, noi possiamo far morire la comunità. Si crea vera comunione se mi sento responsabile dell’altro.
“Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).
Questo è vero per me? Se il Signore è con me dove sono io?
Sulla porta del tabernacolo c’è scritto “Io sono con voi” quando lo leggo è un richiamo che mi sollecita a pensare che Dio è con noi.
Tutte le volte che facciamo il segno di croce facciamo comunione dentro di noi, chiamiamo la Trinità a fare parte della nostra vita.
“Io sono con voi” è molto più presente di quanto pensiamo, tante volte noi siamo da un’altra parte e non ci pensiamo uno dentro all’altro. La comunione trinitaria è un richiamo anche ai nostri rapporti. Nessuno della SS. Trinità piega l’altro alla propria volontà…
Quanto abbiamo da imparare da questo “noi” del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Dobbiamo comprendere che la nostra persona ha bisogno di essere una presenza di amore, di compassione, di perdono e di gioia.
Da dove insorgono gelosie, invidie passioni?
Prima di tutto sono mancanze di amore e di comunione.
La Trinità mi dice che tutti siamo indispensabili a dare la nostra presenza di amore, c’è una richiesta reciproca da parte della SS. Trinità di esserci.
Dio ci ha detto di essere contento della nostra esistenza:
“Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te: dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra e da un’estremità all’altra dei cieli, vi fu mai cosa grande come questa” (Dt 4,32).
Facciamo in modo che, in questa festa, l’amore di Dio proceda in noi.
Amen.
(Trascrizione non rivista dall'autrice)

domenica 20 maggio 2018

PENTECOSTE: camminare secondo lo Spirito


La Pentecoste è l’amore di Dio ravvivato nei nostri cuori che resta in noi e quindi è la circolazione dell’amore di Dio nella nostra vita.
S. Agostino dice che il Padre è colui che ama, il Figlio è l’amato e lo Spirito è l’amore che unisce.
Il noi di Dio, che abbiamo dentro, è la forza dell’amore e come tutte le cose di Dio avvengono in silenzio, quasi di nascosto, così rischiamo di non sapere gestirlo e riconoscerlo.
Tutto ciò lo possiamo definire con il nome teologico della grazia: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo nella nostra vita.
L’azione di Satana è quello di dividerci, di farci stare soli di separarci, l’azione dello Spirito è esattamente il contrario è l’unione e il Dio con noi. Quando siamo in comunione, in unità c’è lo spirito di Dio.
“Fratelli, camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne” (Gal 5,16).
Cosa vuol dire camminare secondo lo Spirito?
Prima di tutto noi siamo persone che hanno un’anima e dentro di noi c’è un io superficiale, quello ambizioso irascibile, instabile e capriccioso che è appunto vivere secondo la “carne”.
C’è anche un io profondo che ha nostalgia di Dio, desiderio di pace, verità, giustizia e di vero amore che è comunione…
Lo Spirito ci aiuta a guarire le ferite dell’io superficiale e far crescere l’io profondo che ci abita.
Vuol dire che incrementa nella nostra vita il desiderio di Dio e dà, in un certo senso, stabilità all’io superficiale che tante volte rompe i rapporti.
Lo Spirito Santo ci guarisce nella mente e nel cuore. Nella mente perché siamo bisognosi di essere aiutati nella nostra incredulità, onnipotenza, menzogna, superstizione che genera pensieri che non ti abbandonano e ti frullano sempre nella testa. Guarisce il cuore dalla mancanza di carità verso il prossimo, dalle carenze affettive…
Lo Spirito è come un sarto che sa ricucire ciò che è diviso e ricomporre in unità. Prima di tutto unità interiore che è armonia e pace dentro se stessi, poi anche quella esteriore che ci aiuta ad andare l’uno verso l’altro.
È un dono grandissimo per noi, in questo giorno, quello dello Spirito che opera aldilà delle nostre previsioni e della nostra umile e semplice preghiera.
Proviamo a chiederci come cammino? Cammino nella carne o nello spirito?
Nell’inno Veni Creator c’è la richiesta di tutto quello che abbiamo bisogno.
Invochiamo lo Spirito per trovare l’amore di Dio in noi…
Amen
(Trascrizione non rivista dall’autrice)

domenica 13 maggio 2018

ASCENSIONE DEL SIGNORE: camminare nello Spirito


Ascensione - Giotto, Cappella degli Scrovegni, Padova
Oggi vediamo nel cielo azzurro il sole che brilla e ciò dovrebbe essere anche nel nostro cuore.
Noi ci ricordiamo invece molto più facilmente dei giorni tristi, brutti e cattivi, in cui l’oscurità ha preso la nostra vita.
Fondamentalmente il mistero della sofferenza è più facile e vicino alla nostra condizione.
Pensare invece alto, alla luminosità, alla trascendenza è più difficile…
Non è che noi amiamo la Croce, le tenebre, la sofferenza eppure facciamo molta fatica a credere alla trascendenza che solo Dio ci può regalare.
A noi uomini mortali, impantanati nel nostro piccolo cuore che tutto calcola tutto, riesce difficile pensare in grande.
Il trascendere invece è proprio per noi, chi non lo fa vive una vita molto misera…
Infatti se tutto la mia esistenza è il contingente, su come faccio oggi e tutto finisce qui, può essere veramente una fregatura…
Vale la pena di vivere la vita? Di farci la guerra per avere o non avere?
Se invece mi aspetta una realtà che è per sempre, allora questi giorni della mia vita acquistano senso e bellezza.
“Perché state a guardare il cielo” dicono gli angeli ai discepoli…
Bisogna dunque correggere la nostra vista, cominciare a guardare in modo diverso.
Tante cose le vediamo in maniera sbagliata. Abbiamo uno sguardo ottenebrato dal calcolo, dalla meschinità…
L’Ascensione ci invita cambiare lo sguardo, se non lo facciamo rimaniamo delle persone molto malate, oscurate dal peccato e dalla limitatezza.
Gesù non si trasferisce in cielo, è nel cuore del Padre. Significa che è necessario cercarlo non con gli occhi carnali, ma con gli occhi della fede
Maggiormente comprendo il cuore di Cristo, più rientro in me stesso e più ritrovo Dio e la mia via al cielo…
Gli apostoli sono chiamati a vivere con una nuova forza ed energia che è quella di abitare i giorni e la storia con Gesù.
Negli Atti leggiamo che “tornarono pieni di gioia” ed il Maestro disse loro di andare a predicare a tutti.
Si tratta di portare dentro la vita il rapporto con Cristo e annunciarlo agli altri.
“Partirono gli apostoli e il Signore agiva insieme con loro”.
Era in sinergia con loro: significa che la sua potenza e la mia debolezza vanno insieme, la sua bellezza e il mio niente vanno insieme…
Il vangelo i dice anche che i discepoli non credevano all’annuncio delle donne: che fatica a credere che Dio è risorto…
Quando sulle persone noi ci fermiamo alla nostra angusta visione, quando li condanniamo, non possiamo annunciare nulla…
Paolo nonostante la prigione e le catene, ricomincia sempre a proclamare il Risorto perché è abitato dallo spirito: è un uomo libero e ogni giorno inizia di nuovo.
Chi invece condanna rimane sempre su quella piastrella del suo pavimento e non andrà mai avanti.
Cammino secondo lo Spirito? Ricomincio? O rimango chiuso nel mio giudizio, nella mia interpretazione della storia?
Se cammino secondo lo Spirito la mia via è il cielo.
Amen
(trascrizione non rivista dall’autrice)

ESSERE GUARDATI CON AMORE


Lectio sull'episodio di Zaccheo nel Vangelo di Luca (Lc 19,1-1). 
Si è scritto molto sulla figura di Zaccheo, molti sono stati i commenti. Quello che dovrebbe accadere oggi davanti ad una pagina così bella, è di scrivere il vangelo di Zaccheo nel nostro cuore. Tanti sono i suggerimenti che questo Vangelo ci propone, ma troviamone almeno uno che smuova il nostro cuore.
Zaccheo è il capo dei pubblicani, è ricco ed è piccolo. Non ha una bella partenza, come tante volte anche noi. Siamo piccoli in carità, piccoli in modestia, piccoli in capacità. Tante volte anche noi siamo pubblicani, mercenari dell’amore di Dio. E siamo ricchi di noi stessi, il nostro io la fa da padrone. Non è una bella carta d’identità quella di Zaccheo, come del resto non lo è la nostra. Tante volte ci mettiamo tutta la vita ad aggiustare questa carta d’identità, questa immagine che noi dobbiamo dare di noi stessi. Essere una brava donna, una brava monaca…, in modo che gli altri possano dire: è stata proprio brava! Ma non si conquista così la salvezza. La salvezza dal Signore viene gratuitamente, indipendentemente dalla nostra carta d’identità; al Signore interessa che un figlio della perdizione, che ha bisogno di essere salvato, trovi la via della salvezza. A Gesù interessa questo, ed è venuto per questo. Ma sia Zaccheo che Gesù bisogna che si incontrino; se nel cammino della mia vita, voglio convertirmi bisogna che il mio desiderio di Lui si incontri con la Grazia, altrimenti non scatta la possibilità dell’incontro.
Il desiderio da solo senza la Grazia non produce nulla, e la Grazia da sola senza il desiderio non può arrivare. C’è bisogno di tutte e due le cose. Ecco perché oggi è accaduto il miracolo a casa di Zaccheo. Perché Zaccheo esce da casa, non credo solo per curiosità, esce da casa per un desiderio profondo, forse ha un vuoto che lo spinge: “se di quell’uomo parlano così bene, chissà che non dica qualcosa anche a me”. Quante volte ci muoviamo dalla nostra casa perché siamo vuoti, perché andiamo alla ricerca di qualcosa, di qualcuno attraverso un pellegrinaggio, un santuario, uno che parla bene, dica qualcosa che vada bene per me, che riempia il mio vuoto. E magari la soluzione dei miei problemi lo ho alla porta accanto, ho un uomo, o una donna di Dio, c’è il Signore in una chiesa che mi dice: io sono qui ad aspettarti.
Zaccheo esce spinto, credo, da questo desiderio e forse la folla gli impediva tante cose, anche di essere se stesso, e compie un cammino, compie un tragitto che lo porta a fare una fatica. Sale su un sicomoro, che è definito “l'albero dai fichi fasulli”, cioè non serve a niente. Gesù è salito anche lui sul legno della Croce, è salito sull'albero che tutti ritenevano inutile, e anche oggi molti ritengono inutile. Ma sono duemila anni che il Signore dall’albero della croce attrae a sé ogni uomo. Quello che agli occhi del mondo sembra insignificante, anche brutto da vedersi, è motivo di salvezza.
Zaccheo sale su un albero che non è in grado di dare la vita, per avere la vita c’è bisogno che Gesù passi sotto quell'albero. Gesù è venuto apposta da Gerusalemme a Gerico e ha fatto una sosta: “oggi devo".
Perché si compia la salvezza c’è bisogno che Gesù passi sotto casa mia, passi nel mio cuore, alzi lo sguardo e mi dica: - Zaccheo! cioè mi chiami per nome.
Zaccheo voleva vedere, ma prima di tutto è stato visto, e lui si è sentito visto e letto nell’amore.
Tutte le volte che incrociamo lo sguardo di Gesù nel crocifisso, nell’Eucaristia, chiediamoci se noi ci sentiamo chiamati per nome e salvati. Se accade così, il nostro cuore è inondato di gioia, il nostro cuore si ri-centra tutto lì. E le preoccupazioni, i castelli, le tante cose da proporre e da fare hanno un altro aspetto. Ri-centriamo la vita su quell’albero della croce, sentiamoci chiamati per nome, sentiamoci guardati con amore. E forse allora anche il mio sguardo vedrà le cose con occhi diversi.
Mi soffermo su un’altra cosa molto bella.
Zaccheo scende, è pieno di gioia, non dice parole, è il suo volto che dice che è pieno di gioia, è il suo corpo che salta. Quando noi incontriamo il Signore, quando incontriamo degli uomini e delle donne di Dio si vede dal volto, si vede dagli occhi, si vede dal tono della voce, si vede dalla loro gentilezza, dalla loro capacità di fermarsi, di ascoltare.
Gesù, chiama Zaccheo, che, pieno di gioia, lo fa entrare in casa sua.
Il verbo usato per dire che Gesù entrò nella casa di Zaccheo è il verbo greco che indica lo “scivolare" nella culla, entrare in una culla.
La delicatezza di Dio è questa: entra nel nostro cuore in punta di piedi, entra come bambino, entra come colui che non vuole disturbare, ed entra nel nostro cuore come in una culla, cioè come in un luogo dove porre dimora. É il mistero dell'Incarnazione, che ha salvato Zaccheo. Gesù è venuto per lui, Gesù viene per noi. Gesù ha preso la carne di Zaccheo, ha assunto su di sé la carne di Zaccheo. Vedete che il mistero pasquale, la croce, è sempre unito al mistero dell’Incarnazione, Gesù entra come nella mangiatoia di Betlemme, piccolo, indifeso, ma capace di assumere la mia carne e salvarla. Se uno fa esperienza di questo, la vita cambia. Ma per fare questo bisogna volerlo, bisogna desiderare che Gesù entri nella mia casa. E dopo, come dice il Vangelo, darò via la metà dei miei beni, che non sono solo i soldi, sono anche le mie doti, cioè dò via me, dono me stesso agli altri.
Questo Vangelo ci insegna che il nostro incontro con Gesù è una questione di vita, perché chi non lo incontra continua a mormorare, come fa la gente di Gerico, continua a “fare il giornalista”, che scrive sugli altri, sa solo guardare la vita e i difetti e le cose che accadono agli altri, e magari perde la propria vita. Zaccheo si è lasciato guardare, ha fatto entrare Gesù e ha permesso che Gesù assumesse la sua carne.
Per Zaccheo quel giorno è Natale. Amen.

Madre Maria Emmanuel


domenica 6 maggio 2018

VI Domenica di Pasqua: Rimanete nel mio amore


Le letture di questa domenica sono talmente belle e suggestive che potrebbero sembrare distaccate dalla nostra vita concreta...
Il Vangelo è ancora un richiamo del rimanere:
“Rimanete nel mio amore”
È indispensabile nella vita dimorare: quando vediamo un bel posto in collina, al mare o in montagna diciamo che vorremmo abitare li.
Prova a pensare di abitare nel cuore di Dio: è il luogo più bello… Forse non ci ho mai pensato perché sono separato dal Signore.
Gesù ci dice che se diventiamo familiari a lui questo abitare ci verrà naturale, anche se siamo presi da mille faccende dobbiamo essere sempre uniti a Gesù.
Cristo ci invita ad andare a lui e prendere dimora presso di lui, per trovare la verità su noi stessi e scoprire lo sguardo di carità di Dio che ci guarda con occhi buoni.
Per il bambino inglese, il piccolo Alfie, alla ribalta della cronaca in questi giorni, i suoi genitori, quando è stato staccato il respiratore, si davano il cambio con la respirazione bocca a bocca.
Provate pensare al cuore di Dio e come quello di questi genitori che hanno donato il loro respiro.
Anche Dio non si dà per vinto, con amore infinito si china su di noi…
Dimorare in Cristo ci rende poi suoi amici e il regalo più grande di questa amicizia è il dono del Padre: donandoci il Padre ci fa sentire figli.
“Non vi chiamo più servi, ma amici”
Quindi non siamo schiavi o servi, ma figli amati…
In questa logica comprendo il significato di essere “Figlio nel Figlio”.
Allora quando anche il nostro accusatore, Satana, ci accuserà dei nostri peccati, di tutte le nostre imperfezioni e mancanze e ci dirà anche che il Signore non ha cura di noi, ricordiamoci però che Dio è amore e senza questo Padre io non posso vivere...
Per quanto il mondo mi possa rubare questa identità, io sono il figlio amato.
“Pietro prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto” (Atti 10,34-35).
Lo Spirito è donato a tutti. Anche S. Benedetto nella sua Regola si rivolge a “Chiunque tu sia”, non perché sei perfetto, hai dei meriti o qualità, ma basta che tu venga, che tu lo desideri…
Ritornando alla vicenda del piccolo Alfie, i veri perdenti sono quelli che pensano solo a livello umano e di efficienza, noi siamo molto di più, siamo un corpo che ama e vive nell’amore. Questo non lo può distruggere né una macchina, né il pensiero di una legge perché lo spirito è libertà e raggiunge tutti. Come sarebbe restrittiva una vita pensata e decisa solo dagli uomini…
Dio non fa preferenze, mi aspetta, mi desidera così come sono e indipendentemente dal giudizio degli uomini. Lui mi prende tra le braccia e mi fa dimorare in lui…
Non dobbiamo fare qualcosa, ma semplicemente essere noi stessi e invocare il suo amore.
Amen
(Trascrizione non rivista dall’autrice)