“Io sono la
vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza
di me non potete far nulla” (Gv 15,5).
Dove noi
rimaniamo, dove stiamo?
Normalmente
dove sentiamo la presenza dell’amore, dove lo vediamo e lo tocchiamo.
Quindi rimaniamo
se riusciamo ad amare.
Rimanere
però non è un verbo molto amato oggi: dà l’idea di staticità, mentre, nel
contesto odierno, tutto si basa sulla velocità, sul distacco. Anche quando si
tratta di vivere insieme si dice: - Proviamo se va… Crediamo poco alla fedeltà
che giorno dopo giorno costruisce rapporti.
Rimanere,
stare attaccato alla vite, invece significa continuare a generare frutti.
Solo chi sta
in Gesù riesce a rimanere: non in maniera statica, ma rimanere con il cuore,
mentre i piedi e le mani vanno, sono in movimento…
Dove vivo l’esperienza
del rimanere? Dov’è il luogo in cui Dio mi ha posto? Come rimango, con docilità
ed entusiasmo oppure con durezza e affanno?
Devo
prendere esempio dal rimanere di Cristo che santifica la mia vita e tutto
quello che faccio.
Tutto ciò
che compio rimane, la conseguenza di tutto ciò che faccio rimane nella storia, anche
il gesto più semplice come preparare un piatto per il figlio che arriva in casa
è grande se fatto in Cristo.
Ciò da un
respiro enorme alla nostra vita.
Il mondo invece
ci classifica in base a ciò che siamo e facciamo, in base ai nostri biglietti
di visita.
Mentre se
sono di Cristo, tutto porta lui, non dobbiamo più preoccuparci di apparire, di
giustificarci…
Anche davanti
all’incuranza degli altri che non si accorgono delle mie difficoltà delle mie
fatiche, se rimango in Gesù non c’è lacrima che non venga raccolta nel suo
otre. Questo va nell’eterno, questo rimane…
San Paolo dopo
la caduta da cavallo in cui ha vissuto la cecità anche del cuore. Ha avuto
bisogno di anni di conversione.
Il suo
cammino di introduzione alla chiesa non è stato facile, Barnaba e Anania lo
hanno aiutato.
La chiesa è
un luogo dove siamo con le braccia aperte, come il tralcio che sta tra la vite e
il frutto.
Paolo ha
imparato a stare in mezzo, a non essere la vite e non contare i frutti.
Ciò fa
ripensare al verbo rimanere, perché Cristo possa passare nella vita degli altri.
Ma io sono
contento di essere un tralcio, o lo trovo inopportuno?
Vorrei
essere vite da cui tutti dipendono, oppure solo un frutto che raccoglie la
fatica degli altri?
Gesù ci
chiede di essere tralci, di stare in mezzo, far passare la vite e donare i
frutti.
Paolo
rimanendo in mezzo potrà scrivere pagine stupende come “Non sono più io che
vivo ma Cristo vive in me”.
Anche noi
abbiamo bisogno di qualcuno che ci introduca, che poti tutto quello che è
superficiale.
La vite
quando è potata piange rimane spoglia rugosa, brutta all’apparenza, ma è così
bello vedere le sue foglie che partono da un tronco che sembra morto e
diventano di un verde sgargiante, poi rosse destando ammirazione.
Quindi anche
su di noi, nonostante siamo storti e deboli, spunta la vita ed è una vita feconda
che germoglia…
Amen
(Trascrizione
non rivista dall’autrice)
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