sabato 13 aprile 2024

Perfetta carità


“Questa sera tratteremo il tema del vertice della Carità e dell'amore. Una questione da approfondire proprio dopo la Pasqua, perché solo dopo aver incontrato Gesù Risorto si può vivere la radicalità dell'esperienza di amore verso i propri nemici: è una grazia che solo il Signore ci può dare, ma bisogna andare in punta di piedi e avere l'umiltà di chiedere il suo aiuto”. Così lo scorso 6 aprile madre Emmanuel Corradini ha introdotto dopo la Pasqua la sua meditazione nel monastero di San Raimondo.

Amare i nostri nemici

La religiosa ha citato ai  presenti il capitolo sesto del Vangelo di Luca. “A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo; perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi e fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi”.
Il Signore ci chiede allora di amare - ha spiegato la Madre - , chiede l'adesione dei suoi discepoli in termini radicali. Dice che fare del bene a coloro che ci amano non è niente di eccezionale, l'eccezionalità sta nel compiere qualcosa di buono verso chi ci ha fatto male, rispondendo al male con il bene. Comprendiamo quindi che l'atteggiamento di non violenza per noi cristiani non è dettato da un buon comportamento. Il cristiano è colui che assume dentro di sé l'atteggiamento convinto che l'amore di Dio e la sua potenza gli permettono di affrontare il male con le armi dell'amore e della verità. Come diceva Benedetto XVI, l'amore del nemico costituisce la vera rivoluzione cristiana: non basata su strategie di potere economico, politico o mediatico, ma fondata su un amore che non poggia su risorse umane. Un sentimento che è dono di Dio, e si ottiene confidando unicamente e senza riserve nella sua bontà misericordiosa”. Ecco la novità del Vangelo - sottolinea - , ecco perché noi celebriamo la festa della Misericordia di Dio: è la Misericordia a sostenere le sorti della storia, e amare i nemici è il contributo più importante che il cristianesimo può dare alla civiltà”.

Qual è la perfezione della carità

Poi ricorda Sant'Agostino, secondo cui la “perfezione della Carità è amare i nemici, amarli perché diventino fratelli. La nostra carità non deve infatti essere secondo la carne. Ama i tuoi nemici perché entrino in comunione con te, così come amò colui che pendendo dalla Croce disse Padre perdonali perché non sanno quello che fanno”. Se chi ci ha fatto del male diventa un fratello - ha quindi osservato la superiora di San Raimondo - ,   vuol dire che la sua vita e la sua salvezza ci interessano. L'altro non è allora qualcuno da eliminare, il suo benessere o malessere fanno per noi la differenza, anche se ci ha provocato dolore. Altrimenti Gesù è nato invano, la Sua morte e Resurrezione non sono servite. Ma se sentiamo Cristo vivo e risorto in mezzo a noi, allora Lui, che ha vinto la morte e ha fermato il male con la carità, ci renderà capaci di fare altrettanto e di amare i nostri nemici”.
Come riuscire a vivere un'esperienza così umanamente difficile e radicale? “Dobbiamo innanzitutto credere sul serio al Vangelo e cercare un rapporto con Gesù, coltivarlo – ha spiegato la superiora - . Non a caso ho detto che il tema della perfetta carità si può capire bene solo dopo la Pasqua. È in quel momento che Gesù dice ai discepoli pace a voi. Proprio quando sono impauriti dentro al Cenacolo e si guardano con sospetto, lui li rimette insieme e dona loro lo Spirito Santo per il perdono e la remissione dei peccati. Anche noi non dobbiamo quindi guardare alla fatica che facciamo a perdonare, ma al dono che il Signore ci dà. Dobbiamo ricordarci che la Sua grazia ci renderà capaci di un amore sovrumano e che Gesù ci comanda l'amore senza limiti solo dopo aver donato sé stesso. Per riuscire a perdonare i nemici bisogna prima di tutto restare attaccati a Dio".

Santa Teresa di Liseux

Lo dice perfettamente Teresa di Liseux. “Alle anime semplici non servono mezzi complicati - ha scritto la Santa poco prima di morire - . Poiché io sono tra queste, una mattina durante il ringraziamento Gesù mi ha dato un mezzo semplice per compiere la missione. Mi ha fatto capire queste parole del Cantico dei Cantici: 'attirami, noi correremo all'effluvio dei tuoi profumi'. Dunque, Gesù, non è nemmeno necessario dire attirando me attira le anime. Basta semplicemente che io dica attirami e le anime le salvi tu. Madre amata, ecco la mia preghiera: chiedo a Gesù di attirarmi nelle fiamme del suo amore, di unirmi così strettamente a Lui che egli viva e agisca in me. Quanto più dirò 'attirami', tanto più le anime si avvicineranno a me e di conseguenza a te”.
Anche i discepoli erano povere persone come noi – ha quindi spiegato l'abadessa -, l'unica cosa rimasta loro era l'attaccamento a Gesù. Non hanno capito tutto quello che Lui ha fatto, ma con il loro attaccamento a Cristo questi 12 hanno cambiato il mondo. Anche noi dobbiamo prima di tutto essere attirati da Gesù, se vogliamo vivere la carità e arrivare a perdonare”.

La preghiera del Padre Nostro

La seconda condizione per riuscire ad amare chi ci ha ferito è la preghiera - osserva poi Madre Emmanuel -. Dobbiamo pregare come ha fatto Gesù, dicendo «Padre perdonali perché non sanno quello che fanno». Una preghiera può essere povera, semplice, può consistere solo in un'invocazione: ma pregando si passa dal rancore alla pietà, dal giudizio alla misericordia, dal desiderio di vendetta verso l'altro a mettersi in ginocchio per lui. A cambiare è il proprio atteggiamento interiore verso chi ha fatto del male”.

“La preghiera per il nemico dovrebbe essere per ciascuno di noi la prima del mattino” – ha detto infatti Padre Zenone negli apoftegmi del deserto, citati dalla suora. Così ha fatto anche Padre Paisios pregando per chi aveva rinnegato Cristo. Solo chiedendo la salvezza di chi ha mortificato il nostro io, saremo sicuri di avere la fortuna di essere tra i salvati, di essere dalla parte di chi cade e non di chi uccide.
Poi Madre Emmauel cita ancora una volta Sant'Agostino, che con il suo monito rende chiaro il processo progressivo verso il perdono.
“Sono due i nemici che devi temere – spiega il santo, menzionato dall'abadessa -. Il primo è di carne e sangue, e aggredisce in te quello che hai di materiale. Ma c'è in lui un altro nemico invisibile, occulto: il sovrano delle tenebre. Tu non lo riesci a pensare, ma a lui interessano i tuoi tesori interiori. Mettiti dunque dinanzi agli occhi due nemici: uno lo vedi, l'altro è nascosto. Ama il primo e guardati dal secondo”.

“Se ci si intestardisce ad odiare il nemico visibile - ha quindi spiegato Madre Emmanuel in conclusione - quello invisibile porterà lentamente lontano da Dio, un bene ben più prezioso delle cose materiali. Dobbiamo allora avere l'umiltà di capire che la decisione di operare per il bene è fatta di scelte quotidiane, di rinunce e proponimenti, e solo con la preghiera e nella relazione con Cristo possiamo arrivare a perdonare. Non importa se non è un processo spontaneo, se umanamente non riusciamo a compiere questo passo. Basta lasciare aperto un varco nel proprio cuore, avere in sé un sincero desiderio di perdono, e sarà Dio con la Sua grazia a renderci capaci di carità e amore verso i nemici. Solo così ciascuno di noi potrà allora dire: fermando il male ho vinto il mondo”.

Micaela Ghisoni

Pubblicato l'11 aprile 2024 (ilnuovogiornale.it)

martedì 19 marzo 2024

E' possibile amare?

 



“Prima del Natale abbiamo fatto un cammino focalizzato sulla condizione umana e la sua fragilità. Ora siamo diretti verso la Pasqua e dobbiamo capire che incontrare Gesù Cristo vuol dire prima di tutto capire chi è Lui”.
Così lo scorso 2 marzo madre Emmanuel Corradini ha introdotto la prima meditazione post- natalizia nel monastero di San Raimondo. Nel titolo: "Se Dio è amore è possibile amare?” è condensata la questione fondamentale affrontata, a cui il capitolo quarto della prima lettera di Giovanni sembra dare una prima risposta: “chi non ama non ha conosciuto Dio perché Dio è amore”. Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha mandato Suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. Subito dopo la Madre precisa però che, più della lettera di Giovanni, il testo essenziale per capire se è possibile amare è il capitolo terzo del libro della Genesi. A partire dall'incontro di Eva con il serpente tentatore, “il più astuto di tutti gli uomini selvatici che Dio aveva fatto”, fino alla raccolta del frutto proibito nella falsa convinzione di diventare come Dio.

“Allora si aprirono gli occhi di tutti e due (Adamo ed Eva) e conobbero di essere nudi”

Non si capisce nulla degli uomini e del cristianesimo - ha detto madre Corradini -   se non si parte da queste righe, dal peccato originale. Per capire se e come è possibile imparare ad amare, dobbiamo partire dalla consapevolezza di nascere trasgressivi. Il peccato originale è la preminenza dell'orgoglio, dell'affermazione di sé ad ogni costo, della presunzione di fare senza Dio e divenire come Lui. a divisione nasce da qui, da qui la dilatazione del proprio io fino all'odio per il fratello di generazione in generazione”.
Poi la Madre spiega come per capire gli effetti del peccato originale non bastino studio o intelligenza. Il peccato originale conduce infatti all'idealizzazione di sé. Secondo il magistero della Chiesa ferisce l'uomo nelle sue dimensioni naturali: per cui il peccato rende impossibile essere coerenti, offusca la ragione e indebolisce la volontà portando a confondere il bene e il male e a giustificare il secondo. Lo sappiamo da 2000 anni di storia. Accecati dalle passioni, spesso non riconosciamo nemmeno l'ottenebrarsi della nostra mente e il male che facciamo. Abbiamo bisogno che altri ce lo dicano, anche se questo significa incidere dentro di noi come una lama a doppio taglio: così per Davide è stato necessario l'incontro con il Profeta Natan.

A fronte dell'ombra del Peccato Originale cosa rimane allora all'uomo a cui aggrapparsi?

“Gli resta il cuore – risponde l'abadessa di San Raimondo - . Un cuore ferito il nostro, ma desideroso d'amare perché creato da Dio attraverso i genitori e da Lui nutrito tramite relazioni, amicizie, la chiesa e i sacramenti. Bisogna partire dal cuore per imparare ad amare e capire Dio. L'uomo lontano da Dio si accontenta - continua -: dei soldi, della lussuria, del potere. Queste tre passioni inebriano il cuore a tal punto da smorzare il desiderio d'amore”.
E cita Sant'Agostino nel De civitate dei: “la credenza in Dio di per sé non cambia la vita”. Occorre mutare il proprio cuore, spiega madre Emmanuel, riuscire a guadarlo nel profondo per sentire ciò di cui ha davvero bisogno. Non basta quindi credere in Dio e andare a messa, pregare, essere in monastero.
Dio ha mandato nel mondo Suo figlio proprio come atto d'amore, per recuperare un'umanità ferita, ammalata, incapace di rimanere fedele, ma desiderosa di amare. Lo ha fatto attraverso Maria, l'unica non concepita con il Peccato Originale: con il sì di Maria l'uomo inizia la sua storia di ritorno a Dio e quindi all'amore”.
Dalla nascita di Gesù grazie a Maria e Giuseppe, che 2000 anni fa hanno potuto toccare la carne viva di Gesù bambino, al battesimo del Signore trent'anni dopo sulle rive del Giordano il passo è stato breve.
Indicato come l'agnello di Dio Gesù incontra Giovanni e Andrea e chiede loro che cosa cercano, perché sono venuti. Loro semplicemente domandano: “Dove abiti maestro?” E lui: “Io sono la via, la verità e la vita, io sono l'amore, venite e vedete”. Dobbiamo anche noi essere capaci di far entrare Dio nella nostra vita, dobbiamo permettere Lui di abitarci con il suo amore.

Come riuscire quindi a fare in modo che Dio ci aiuti ad imparare l'amore?

“Per essere abitati dall'amore di Dio – ha avvertito la Superiora – bisogna compiere un itinerario di ridimensionamento del proprio io. Non possiamo limitarci a grandi slanci momentanei, destinati a durare il tempo di un'eucarestia. E ricorda le parole di San Bernardo: il ritorno a Dio esige il passaggio dalla superbia all'umiltà, è il pellegrinaggio interiore che ci fa uscire dal nostro amor proprio e corregge in noi un falso amore”.
Possiamo quindi vedere e capire l'amore di Dio – prosegue – solo entrando nella sua umiltà, quell'umiltà che è abbassamento, capace di sconfiggere superbia e orgoglio. Senza umiltà non è possibile capire perché Dio si inginocchia davanti a noi, perché sta e si frantuma in un pezzo di pane. Non possiamo capire l'amore di Dio senza umiltà, lo può capire solo un cuore disarmato, straziato: nell'abbassamento e nella fragilità noi impariamo ad amare e Dio è l'unico a poter raggiungere il nostro inferno interiore. Ogni giorno dobbiamo compiere un itinerario che dalla miseria ci apra alla misericordia, un cammino di lotta tra luce e tenebre che ci porti ad avere compassione di noi stessi e ad amarci per come siamo. L'amore come il Vangelo non sono né comodi, né facili, comportano dei rischi. Ma l'amore è forza vitale e possiamo impararlo solo da Colui che ha versato tutto sé stesso sulla croce”.

L'esempio della Samaritana

“Abbiamo sete d'amore e dobbiamo riconoscerlo: andiamo allora come la samaritana al pozzo di Sicar ad attingere acqua, che oggi è l'eucarestia, la Parola, la Chiesa. A dare un senso alla vita non sono le tante possibili strade costruite da noi: a contare è una strada sola, vissuta nell'amore e per amore. Un amore destinato a rimanere anche dopo la morte.

Micaela Ghisoni

dal sito ilnuovogiornale.it

Avvicinarsi al Signore

 


martedì 23 gennaio 2024

PREGHIERA DEL CUORE


Oggi siamo sommersi dal clamore delle parole e non diamo voce alla parola che proviene dal silenzio. I monaci nel capitolo vi della Regola di san Benedetto sono invitati ad amare il silenzio per custodire la Parola, perché la Parola ascoltata possa essere ruminata, amata, possa diventare luce, sale e forza, e quindi il parlare diventi dire bene. Ma per riempire l’anima bisogna fare silenzio, bisogna riempirsi della Parola di Dio, lasciarla decantare e, una volta decantata, questa Parola diventa ricchezza, luce, pace e consolazione. Quindi senza silenzio in realtà l’uomo perde sé stesso perché perde la propria interiorità. Vivere l’interiorità è necessario per ritrovare il senso dei valori e soprattutto il senso della preghiera.

Sappiamo che la parola uccide l’altro, può essere motivo di contesa, di divisione. Tante volte non si vuole fare del male ma attraverso una parola detta male o in modo sbagliato o nel tempo sbagliato, la parola assume un significato diverso da quello che volevamo dare. Allora la vita interiore ci aiuta a custodire le parole, a portarle in fondo al cuore dove dovrebbe abitare il Signore. E se queste parole vengono amalgamate con la presenza del Signore ritornano alla superficie con un peso, un significato, un senso molto diverso da quello che avevamo prima sulla bocca. Dobbiamo fare in modo che le parole prendano sempre di più la dimensione della Parola di Dio, che le nostre parole diventino preghiera.

Anche santa Teresa d’Avila ha vissuto per 20 anni una situazione difficile in cui la parola aveva il sopravvento. Disse senza vergogna: “Ho passato momenti di grande tristezza e depressione, momenti di vuoto, momenti in cui le orazioni, cioè le preghiere, non uscivano perché c’era tanta chiacchiera dentro di me”. Questa situazione è molto simile a quella che viviamo noi quando ci poniamo in preghiera, ma siamo distratti dalle cose da fare e dalle tante chiacchiere che abbiamo nella testa e si intromettono dentro l’orazione. Andiamo in chiesa, ma non riusciamo a pregare. Santa Teresa poi è stata liberata dal dialogo come chiacchiera con il mondo e sulle cose del mondo, ed ha iniziato un dialogo con Dio e su Dio e sugli uomini perché lo sguardo d’amore di Cristo su di lei l’ha cambiata. In santa Teresa la forma del dialogo è diventata vita, è diventata preghiera. Ecco la differenza!
Nel momento in cui la parola è diventata il luogo della preghiera il baricentro è stato spostato e quindi non ci sono più le chiacchiere, ma parole su Dio e parole sugli uomini per dire Dio. Ecco cosa vuol dire far sì che le parole diventino preghiera. La preghiera prima di tutto è ascolto di Dio. Se ho il cuore libero, Dio finalmente può entrare dentro di me, cioè può far sì che tutto quello che ho nel cuore, la matassa di parole che ho nel cuore, pian piano lascino lo spazio alla Parola di Dio, all’ascolto di Dio, all’Eucaristia. La prima cosa che fanno i monaci che sono dediti alla preghiera è ascoltare Dio, che poi in realtà vuol dire ascoltare gli uomini. E in funzione di come si ascoltano gli uomini e di come si ascolta Dio, si prega, cioè si rimane in un colloquio a tu per tu.
Le nostre parole hanno la struttura e la consistenza della chiacchiera o invece hanno la consistenza della preghiera? Che cosa dico quando dico il Signore?
La preghiera diventa una necessità del cuore, una necessità di vita.
Mons. Angelo Comastri (vescovo di Ancona) incontrò madre Teresa di Calcutta e racconta:
Mi chiese a bruciapelo quante ore pregavo ogni giorno. Rimasi sorpreso da una simile domanda e provai a difendermi dicendo: “Madre da lei mi aspettavo un richiamo alla carità, un invito ad amare i più poveri, perché mi chiede quante ore prego?” Madre Teresa mi prese le mani e le strinse tra le sue quasi per trasmettermi ciò che aveva nel cuore, poi mi confidò: “Figlio mio, senza Dio siamo troppo poveri per poter aiutare i poveri! Ricordati che io sono soltanto una povera donna che prega. Pregando, Dio mi mette il Suo amore nel cuore e così io posso amare i poveri.”
Se uno prega molto non può non fare la carità perché la preghiera porta alla carità. E la carità, se è reale, ti porta a pregare per colui al quale fai la carità, non c’è separazione. La preghiera è uno slancio del cuore, è un semplice sguardo gettato a Gesù. Crediamo che la preghiera sia fatica, ma siamo noi che la facciamo diventare fatica perché è faticoso il nostro rapporto con il Signore, perché il rapporto con il Signore è un dovere, un fare, non è un sentirmi figlio, un sentirmi a casa e dire: finalmente sto con il mio Signore.

Per pregare non c’è bisogno delle grandi cattedrali. Noi non comprendiamo capiamo il bisogno che abbiamo di Dio. Corriamo, facciamo tante cose, andiamo a cercare di riempire il nostro vuoto con le tante cose che ci provengono da fuori e non vediamo che il primo che ci riempie il cuore è Lui che nel tabernacolo silenziosamente è pronto a darsi a noi, se solo lo vogliamo. Eppure le chiese sono vuote perchè l’uomo non sente il bisogno di Dio, ma solo di parole rassicuranti, parole che ci dicono che siamo bravi, che siamo belli… ricorrendo a Dio quando le situazioni sono difficili.
Quante volte la mia parola è preghiera o invece è chiacchiera? Se la mia parola è chiacchiera non ottengo una comunione spirituale con Dio, che è la cosa principale. Dio deve essere dentro di me, abitare me, e se abita quello che io vivo allora non diventa difficile pregare perché gli affido esattamente tutto ciò che compio, le cose belle e le cose brutte, quelle drammatiche e quelle gioiose. Tutto diventa preghiera! Bisogna avere il nome di Cristo sulle labbra e nel cuore, come il pellegrino russo che ripete insistentemente: “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me peccatore”. Allora la salvezza irrompe nel nostro cuore. Più siamo in comunione con il Signore, più continuiamo a pregare e tutto ciò che facciamo e diciamo sarà nel nome di Cristo.
San Silvano del Monte Athos diceva che la preghiera viene donata a colui che prega, più si prega più si diventa capaci di pregare. Piano piano questa preghiera del cuore mette a tacere tutte le turbolenze che abbiamo in noi. La preghiera del cuore significa riconoscere che il Signore è necessario alla mia vita.
San Silvano del Monte Athos diceva che per pregare ci sono si le chiese, i libri… ma questi non li puoi portare con te, mentre la preghiera interiore, il nome di Gesù è sempre ed ovunque con te e quindi l’anima è il miglior santuario e tutto il mondo diventa abitato da Dio. Ecco la bellezza di chi non si pone il problema di dover pregare, di dover anche andare a Messa; lo spirito giusto è il desiderio di incontrare Gesù.
Bisogna fare in modo tutti i giorni di trovare alcuni minuti per pregare, per cercare il Signore. Allora ti accorgi che nelle cose più quotidiane il nome di Gesù viene fuori. Se aspettiamo di avere le mezz’ore o le ore a disposizione non lo troveremo mai, ma se i pochi minuti che abbiamo li riempiamo con il nome di Gesù questo trasformerà piano piano la nostra vita. Allora passare in chiesa, fare adorazione, leggere un testo spirituale, aprire la Parola di Dio, sarà una gioia, diventerà una necessità, magari alla sera prima di dormire, perché il nome di Gesù sia l’ultima cosa che spegne il giorno.
Un altro aspetto è la preghiera d’intercessione, la preghiera per gli altri, la preghiera con gli altri. Etimologicamente intercedere vuol dire “fare un passo tra, interporsi”, cioè situarsi tra due parti per cercare di costruire un ponte, una comunicazione tra di esse. Bisogna far si che la preghiera d’intercessione possa essere per l’altro. È Gesù stesso che prega sempre ed intercede sempre il Padre per noi. Quindi quando entriamo in chiesa, quando cantiamo i vespri e le lodi non facciamo altro che prestare la voce a Gesù, ci immettiamo nella preghiera di Gesù che diventa la preghiera della chiesa e che diventa la modalità con cui la preghiera viene portata al Padre. Pregare sempre vuol dire che dobbiamo sempre rimanere in comunione con Dio. Bisogna avere sempre il nome di Cristo sulle labbra e nel cuore. E più siamo in comunione con Cristo sulle labbra e nel cuore più sentiremo una grande pace, una grande solidità, una grande stabilità.
Questa preghiera nasce dall’amore; quando una mamma ha un figlio ammalato prega giorno e notte, non conta le ore, non conta le parole; si mette a pregare come la cananea e finché non ha ottenuto quello che vuole non se ne va. Perché le sta a cuore suo figlio.
Quindi la preghiera di intercessione è una preghiera del cuore, cioè indica che mi sta a cuore questa persona. Io prego non per me, ma perché questa persona abbia ciò di cui è necessario. Quindi la preghiera apre le porte all’amore. La preghiera per gli altri nasce dall’amore e conduce all’amore purificando l’amore. Dobbiamo pregare per avere un cuore che pian piano prega, pulsa, batte sull’onda dello Spirito. Allora ci sentiremo particolarmente amati, perdonati e accolti dal Signore. Andremo alla preghiera non con la paura, non con l’angoscia di non essere ascoltati o capiti, ma con la consapevolezza di chi sa che può andare così com’è ed essere accolto. Una monaca mi diceva qualche tempo fa: “Stai pregando? Io non so se so pregare” dopo un minuto di silenzio ha detto: “É la preghiera che mi fa”. Cioè più uno prega e più la preghiera lo trasforma. Più preghi e più il tuo cuore cambia. Non è nel numero delle preghiere che dici, ma è nel metterti in ascolto di Dio e nella tua disponibilità a questa preghiera, che la preghiera ti cambia il cuore perché ti fa sentire lo sguardo di Dio su di te. E tu sei in pace, non ti devi difendere, non devi spiegare, non devi capire. Non c’è niente da capire nella preghiera.
Dostoevskij racconta la preghiera del popolo ed è molto bello perché nei suoi romanzi racconta il volto del popolo che ha bisogno e che va a Dio, che fa tanta fatica, che cade nel peccato e che cerca di rialzarsi. C’è un testo de “I fratelli Karamazov” che racconta di una donna che guardava da lontano lo staretz (maestro e istitutore di Dio, che ha discernimento, che vede i pensieri e i peccati delle persone che gli si rivolgono n.d.r.). Questa donna che era tutta piegata su se stessa, poi alzava la testa e guardava lo staretz, poi continuava a tenere la testa piegata e piangeva. Si avvicinò allo staretz e lui le disse:
“Non avere paura di nulla, non avere paura mai, non ti far prendere dall’angoscia, basta che il pentimento non ti indebolisca dentro e Dio perdonerà tutto. Non c’è nulla nel mondo che possa essere un peccato tanto grave che il Signore non lo perdoni a chi si pente proprio di cuore. Abbi fede in Dio che ti ama tanto che tu non puoi nemmeno immaginarlo: ti ama nonostante il tuo peccato, o meglio, proprio nel peccato in cui ti trovi. Va e non temere. Se provi pentimento vuol dire che tu lo ami e se tu ami sei già in Dio. Con l’amore tutto si salva. Se io, che sono al pari di te un uomo peccatore, mi sono commosso sul tuo caso e ho avuto pietà di te, quanto più sarà così di Dio. L’amore è un tesoro inestimabile che ci puoi comprare tutto il mondo. Va e non temere”. E questa donna gli disse: “Padre lei mi ha rimescolato il cuore”.
Provate a pensare quante volte noi abbiamo dei peccati che sono dei macigni e diciamo: non so… non trovo le parole giuste per dirlo. E questi peccati rimangono come dei macigni che ci tirano giù. Quando noi non ci perdoniamo e non sappiamo pregare perché non ci siamo perdonati nella nostra vita, significa che non abbiamo ancora capito chi è Dio. Quindi la nostra prima azione deve essere quella di metterci sotto lo sguardo di Dio e ascoltarlo e cominciare una relazione con Lui, un dialogo con Lui che può essere una preghiera di domanda, una preghiera di intercessione, una preghiera di gioia, una preghiera di giubilo perché c’è di mezzo una relazione con qualcuno con cui io voglio condividere la vita.
La preghiera diventa vita. La salmodia è la vita del popolo. Ci sono salmi di imprecazione, salmi di lode, salmi di dolore, salmi di lode al Signore nel tempio. E non sono stati esclusi i salmi imprecatori, i salmi di dolore, i salmi di contrizione del cuore perché questi sono la preghiera del popolo. Quindi il popolo va a Dio così come è capace di andare a Dio. Allora dobbiamo salvare Dio nel nostro cuore perché sennò rischiamo di avere tante cose dentro al nostro cuore ma di non avere Dio, di presumere che una preghierina di pochi minuti mi possa far essere credente. E dopo, quando accade qualche cosa di serio, la prima cosa che pensiamo è: “ma io prego tutti i giorni e guarda cosa mi è accaduto”; tu non hai pregato, non ti sei messo in relazione con il Signore perché se ti metti in relazione con il Signore quando ti accade qualcosa lo vivi con il Signore: è questa la differenza. Se preghi realmente il Signore, la preghiera entra in quello che ti accade e il Signore non è da un’altra parte, ma è in quello che ti accade.
Etty Hillesum descrive una scena molto particolare, quando vede i suoi amici ebrei deportati al campo di smistamento di Westerbork che arrivano con le valigie piene non solo di vestiti, ma di oggetti della casa …. perché uno ha l’idea di salvare qualcosa, di portare qualcosa che è la sua storia, la sua vita. Lei guardandoli da lontano un po’ distaccata dice: ma questi uomini e queste donne che cercano di salvare le forchette, i bicchieri, le immagini… sono preoccupati di salvare Dio nel loro cuore? La stessa domanda dobbiamo farcela noi; le nostre valigie di cosa sono piene? I nostri armadi di cosa sono pieni? Le nostre case di cosa sono piene? Sono piene di Dio cioè si respira aria della presenza di Dio, oppure abbiamo tanti soprammobili che tolgono l’aria. Di che cosa è piena la nostra vita? Salviamo Dio nel nostro cuore? Salvare Dio nel nostro cuore non vuol dire buttare fuori quelle cose, ma vuol dire dare il giusto peso alle cose che abbiamo. Vuol dire che parto da Dio e rileggo tutte le cose che ho nell’ottica di Dio. Questo è salvare Dio nel nostro cuore.
Attraverso la preghiera ci mettiamo in rapporto prima di tutto con Dio, con noi stessi e con gli altri. Pregando comprendo chi è Dio, comprendo chi sono io e comprendo chi sono gli altri. Tutto è unificato, non c’è separazione perché Dio ti porta ad uscire e andare agli altri. Ecco perché i monaci sono quelle persone che sanno sempre andare verso l’uomo, hanno sempre la parola giusta, lo sguardo giusto sulla storia; non perché sono dei maghi, ma perché stando con Dio cominciano a guardare la storia e la propria storia con gli occhi di Dio: questa è la profezia. Tutti i battezzati hanno questo dono, il dono della profezia, cioè di leggere la storia con gli occhi del Signore.
Altra cosa importantissima è che noi non ci salviamo da soli, abbiamo bisogno della preghiera degli altri. Io ho bisogno della preghiera delle mie sorelle e della vostra preghiera come voi avete bisogno della nostra preghiera. Scrive Dietrich Bonhoeffer:
“Una comunità che non vive dell’intercessione degli altri è una comunità destinata a perire. Non posso giudicare o odiare un fratello per il quale prego, per quanta difficoltà io possa avere ad accettare il suo modo di essere o di agire. Il suo volto, che forse mi era estraneo o mi riusciva insopportabile, nell’intercessione si trasforma nel volto del fratello per il quale Cristo è morto, nel volto del peccatore perdonato”.
Una famiglia che non vive dell’intercessione degli altri è destinata a perire. Il primo esercizio dell’autorità (dell’abate) è quello di pregare per la comunità. Il primo esercizio per un padre e una madre è di pregare l’uno per l’altra e di pregare per i figli affidati loro. La comunità in cui non si intercede uno per l’altro è destinata a morire perché nascono invidie, fazioni, gelosie mentre la preghiera ti riconduce e ti porta all’altro, a stare con l’altro, ad andare verso l’altro. La preghiera di intercessione è fatta soprattutto da chi esercita una autorità. Questa esperienza di fede è bellissima perché la fede è ecclesiale cioè significa che non ci salviamo da soli. In questo modo ciascuno e tutti andiamo insieme in Paradiso.
C’è un bellissimo racconto di Dostoevskij ne “I fratelli Karamazov” in cui viene data una descrizione commovente della preghiera di intercessione. Lo staretz Zosima disse a un giovane monaco che era entrato in monastero:
“Ragazzo non scordare la preghiera; nella tua preghiera, se sincera, trasparirà ogni volta un nuovo sentimento e una nuova idea che prima ignoravi e che ti ridarà coraggio; e comprenderai che la preghiera educa. Rammenta poi di ripetere dentro di te ogni giorno ed ogni volta che puoi: “Signore abbi pietà di tutti coloro che oggi sono comparsi dinnanzi a te” poiché ad ogni ora e ad ogni istante migliaia di uomini abbandonano la vita su questa terra e le loro anime si presentano al cospetto del Signore. E tante volte nessuno prega per loro, nessuno piange per loro. Ma tu sappi che dall’estremo opposto della terra si eleva allora la tua preghiera al Signore per l’anima di questo morente, benché tu non lo conosca affatto né lui abbia conosciuto te. Come si commuoverà la sua anima quando timorosa comparirà dinnanzi al Signore nel sentire che mentre stava salendo a Dio qualcuno pregava per lei”. E lo sguardo di Dio sarà più benevolo verso entrambi, poiché se tu hai avuto tanta pietà di quell’uomo, quanta più ne avrà Lui che ha infinitamente più misericordia e più amore di te. E gli perdonerà grazie a te.”

Questa è la preghiera che ci unisce, questa è la preghiera che non va mai persa. Ad alcuni genitori dico che la cosa più importante che possono fare i per i loro figli, che magari sono grandi e non li ascoltano molto, è pregare. Un genitore prima ha sopperito alle necessità materiali, poi a quelle culturali (scuola) poi è il tempo della preghiera in cui consegnare quello che hai di più prezioso a Dio. Gesù Cristo sul monte pregava per noi per poi consegnarci al Padre e durante il giorno raddrizzava storpi, zoppi, ciechi. Portava l’umanità davanti al Padre. Questo è il ministero principale di Cristo.
La preghiera quindi diventa l’atto fondamentale della vita, l’atto fondamentale per vivere, l’atto fondamentale per diventare uomini e donne; altrimenti ci massacriamo a vicenda, tutti diventano nemici. Invece la preghiera riconduce tutto a Dio e lascia a Dio il suo giudizio. La preghiera è indispensabile per vivere, per amare, per fare atti di carità e per sopportare quello che la storia concretamente tutti i giorni ci mette sulle spalle. Ma se uno prega, piano piano viene inondato dalla presenza di Dio e questa presenza è capace di sostenere tutto, perché la presenza di Dio è l’amore. Ecco perché il testo di San Paolo ai Romani dice: “chi potrà farci del male? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la spada, la nudità? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati.” E torniamo allo stesso punto: ascolto, amo, prego e cresco. E vi assicuro che invece di avere volti tristi avremo volti lieti, profondamente pacati perché Dio trasforma anche l’aspetto esteriore.
Amen.

Madre Maria Emmanuel Corradini

venerdì 19 gennaio 2024

L'Eucaristia


“Il Signore ci chiede di essere noi stessi fino in fondo: così, attraverso l’eucaristia, ci permette di essere gli uni con gli altri senza essere giudicati”. Con queste parole madre Maria Emmanuel Corradini, nel corso della catechesi di sabato 4 marzo nella chiesa di san Raimondo, ha spiegato l’importanza dell’eucaristia e della comunione, cuore della Chiesa ed essenza del cristiano. “Gesù si consegna a noi – ha proseguito – non ci chiede di capire ma di credere che Lui, sulla croce, ha portato tutti i nostri peccati. Non c’è più niente da pagare, ha pagato tutto lui. Il suo sacrificio raccoglie tutti i sacrifici del mondo. Possiamo solo inginocchiarci e rimanere in silenzio, guardare all’amore che Dio ha per noi e non scappare”.

La presenza del male non cambia il progetto di Cristo

“Nell’Ultima Cena Gesù non era cieco di fronte alla tempesta che si avvicinava. Sapeva bene della contrapposizione, delle ostilità e del rifiuto che si stavano addensando contro di lui”, ha detto madre Emmanuel commentando i primi cinque versetti del tredicesimo capitolo del vangelo di Giovanni.
“Satana era già presente: nel momento della massima espressione di amore, il male era presente. Ma la presenza del male non ha portato Gesù a spostare il suo progetto, non ha bloccato il suo amore: «li amò sino alla fine», Gesù non abbandonò i suoi discepoli. Fino alla fine siamo nel piano di salvezza di Cristo. È il compimento spirituale di un «sì» totale che Gesù pronuncia verso il Padre. Nella Lavanda dei piedi Gesù depone le vesti e si fa schiavo per renderci, davanti a Dio e ai nostri fratelli, idonei al convitto e capaci di stare insieme. Veniamo lavati nel momento in cui ci lasciamo piegare per essere idonei ad andare nel convitto eucaristico. E non spetta a noi dire se un’altra persona è idonea, ci pensa Gesù a prepararla e a salvarla”.

Un cammello passa dalla cruna dell’ago

Michele Gesualdi, politico e sindacalista, fu uno dei primi sei allievi di don Lorenzo Milani. Nei suoi scritti c’è la narrazione dell’ultimo giorno di vita del priore di Barbiana, una pagina di profonda intimità. Gesualdi racconta che don Milani sentiva di essere prossimo alla morte, sapeva di dover morire per una emorragia interna e questa era arrivata. Gli mostrò le sue ferite e, dopo alcuni lunghi secondi di silenzio, gli disse: “Ti rendi conto, caro, cosa sta avvenendo in questa stanza?”.
Gesualdi rispose “Te che stai morendo”. Ribatté don Milani: “Povero caro, non capisci nulla. In questa stanza c’è un cammello che passa dalla cruna dell’ago. Non lo raccontare a nessuno”. “Possiamo passare dalla cruna di un ago anche se siamo un cammello, se ci siamo affidati alla misericordia di Dio”, ha commentato madre Emmanuel. “Il rifiuto viene dalla superbia di Pietro, che dice «Non mi laverai mai i piedi» perché non vuole che Gesù si abbassi per terra. Ma Gesù smaschera quella falsa umiltà di Pietro che non gradisce il perdono gratuito, pensando di farcela da solo, e gli risponde: «Se non ti laverò non avrai parte con me»”.

Vivere l’Oggi di Dio

“Com’è possibile che il suo sangue sia per me salvezza? Gesù trasforma un fatto illogico in un atto d’amore, col quale permette alla mia vita di salvarsi. La morte rimarrebbe incomprensibile senza il segno della resurrezione. Morte e resurrezione compongono un mistero unico che non si può spezzare. Quando lo celebriamo, Lui è vivo. L’eucaristia è sperimentare la resurrezione: Cristo ci salva oggi, dobbiamo vivere l’oggi di Dio. Il rapporto con Dio è nuovo oggi. Oggi Gesù viene a me con la sua morte e resurrezione. In una piccola ostia abbiamo tutto Gesù: nulla è più importante dell’Eucaristia. Lo Spirito Santo trasforma quel pane e vino che abbiamo portato all’altare nel corpo e sangue di Cristo, ma su quell’altare noi portiamo tutta la nostra vita, perché sappiamo che lì, in quel momento, tutto verrà trasformato. Il Signore ci chiede di essere noi stessi fino in fondo: così, attraverso l’eucaristia, ci permette di essere gli uni con gli altri senza essere giudicati”.

Perché celebriamo la messa?

“Il mondo è così disumano perché ha messo fuori l’amore di Dio – ha affermato la badessa – l’eucaristia ha salvato persone rinchiuse in carcere, nei gulag, in guerra”. Il cardinale vietnamita mons. Francois-Xavier Nguyen Van Thuan, nei tredici anni in cui fu prigioniero del regime comunista, non volle rinunciare a pregare, celebrare la messa e amare i suoi carcerieri. Una missione simile a quella che si trovò di fronte padre Pier Luigi Maccalli, prigioniero per due anni in Mali e ospite a Piacenza nel luglio 2022. Van Thuan riuscì a farsi consegnare il pane e il vino per la messa e, nell’incredulità delle guardie che lo tenevano recluso, non smise mai di praticare l’amore. “Perché celebriamo la messa? Qual è lo scopo dell’Eucaristia?”, conclude madre Emmanuel. “Gesù vuole regalarci la comunione col Padre, col Figlio e lo Spirito Santo non solo per un momento, ma per sempre. Quando moriremo, vivremo nella comunione della Santissima trinità per sempre. Solo questo ci può dare vita e speranza, ci può mantenere in piedi"

Francesco Petronzio  (da ilnuovogiornale.it 5 marzo 2023)