sabato 31 marzo 2018

Sabato santo: Il silenzio di Dio

“Deposizione di Cristo” Bartolomeo Suardi detto il Bramantino
Collezione privata Milano
La Passione di Giovanni Termina con queste parole:
“Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parascève dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù”.
Apparentemente la scelta del sepolcro sembra casuale, ma anche qui troviamo un giardino. Dio camminava nel giardino, alla brezza della sera, con Adamo e da lì tutto è iniziato.
Nella nostra vita c’è un giardino, c’è un luogo in cui il Signore ci ha sempre parlato. Dobbiamo ripercorrere la nostra esistenza e vedere, come in determinati momenti, riemergono degli elementi comuni del nostro rapporto, della nostra relazione con Gesù. Anche dopo sessanta, settanta anni tornano delle cose che abbiamo vissuto nell’infanzia, dei ricordi precisi, dei luoghi precisi che ritroviamo nella maturità, quando siamo piedi di esperienze, di sapienza e i capelli sono grigi.
Abbiamo bisogno di riprendere in mano la nostra storia con Gesù dagli inizi, quando lui ci ha guardati convocati, chiamati in luogo preciso, in una situazione precisa. È importante fare memoria di questo proprio nei giorni del silenzio di Dio
Ci sono luoghi, frasi, volti, ritrovati anche dopo tanti anni, che sono un richiamo della presenza di Dio nella nostra vita.
Sabato santo: giorno del grande silenzio. Gesù scende negli inferi. Anche Dio ha il suo silenzio, si pone in silenzio. Ma non è un silenzio di morte: il chicco di grano, caduto in terra, germoglia silenziosamente e poi spunta.
Non è il silenzio di morte di Satana che è mancanza assoluta, freddo, buio in cui solo il male sa stare. Noi siamo fatti per la vita, per il calore, per essere abbracciati, toccati, guardati.
Quanto è accaduto ha davvero dell’inaudito: Dio muore per me.
Nel Venerdì Santo abbiamo celebrato un Dio che ha dato la vita per me, se questo amore è per me mi porrà pure in silenzio, ma in un silenzio di stupore, di dolore come quello della Maddalena che è uno struggente desiderio…
Signore torna presto non posso stare senza di te, non capito ancora nulla, ma se tu non ci sei io sono nella morte, la mia vita non ha senso…
L’esperienza di grande bellezza come la nascita di un bambino, o la frase “io ti amo” sono cose che lasciano in silenzio.
Il silenzio di Dio è intriso di amore: è rottura della morte e degli inferi.
Gesù riposa tra le braccia di colui che l’ha creato
Quando Dio tace chiede a noi l’atto di fede di consegnare la vita nelle sue mani.
Allora bisogna smettere di avere delle elucubrazioni, di pensare cosa devo fare, come devo fare per rompere questo silenzio. L’atteggiamento è quello di consegnarsi a Dio. Finalmente emergerà la Parola.
Il sepolcro che si apre è come una luce che si rinnova e non sai da dove, da quando, da come: ma accade dentro di te.
Il sepolcro è troppo stretto per contenere l’amore, stiamo in silenzio per permettere a Dio di lavorare nel nostro cuore per far spuntare l’amore.
Amen
(Trascrizione non rivista dall’autrice)

venerdì 30 marzo 2018

Venerdì Santo: Imparare l'amore crocifisso

"Crocifissione" Giuseppe Galbignani 1983.

Il brano della Passione di Marco inizia in un giardino.
Il legame tra Dio e il suo popolo è stato ferito, lacerato proprio in una giardino. Adamo ha deciso, in quel luogo, di rompere l’alleanza con Dio. È proprio in un giardino che Gesù recupera questo rapporto che si era rotto.
Quella ferita mortale, aperta a causa del peccato, diventa ferita aperta nel cuore di Cristo e salvezza per tutti noi. Tutte le volte che noi rompiamo il rapporto con Dio  possiamo sempre tornare attraverso il cuore aperto di Cristo.
Lui è il mediatore e la comunione si ristabilisce subito. Senza l’amore, senza Dio non c’è vita. Quando comprendiamo questo abbiamo in mano la chiave dell’esistenza.
Satana può allontanarci da Dio, da quel cuore, può dirci che inutile credere ad un Dio così. Si insinuerà sempre dentro di noi, come lo è stato per Adamo, il pensiero che Dio ha ben altri progetti, è un despota, non ci guarda, non gli importa dell’uomo. Mentre noi siamo la cosa più preziosa per Gesù...
In questi santi giorni, per quanto la nostra carne possa essere ferita, per quanto il nostro cuore possa essere contagiato o tentato, torniamo a Gesù Cristo. Torniamo al suo cuore aperto e allora la comunione si ristabilirà, il giardino fiorirà…
Il Vangelo ci dice che Gesù usci ed entrò nel giardino degli ulivi con i suoi discepoli. Perché Gesù li prende con sé? Sapeva che non sarebbero stati capaci di vegliare con lui neppure un’ora. Gesù ci vuol fare capire che anche nell'ora della passione ci possiamo entrare con la nostra libertà. Possiamo fare esattamente come Giuda, quindi un libertà che tradisce. Possiamo fare come Pietro, Giovanni, Giacomo: una libertà che si appesantisce. Possiamo fare come gli altri discepoli: una libertà che è lasciata sviare.
Ma il Signore vuole che in quel giardino ci portiamo la nostra libertà di seguirlo, di sceglierlo, proprio mentre lui suda sangue e acqua. 
Nel giardino della storia, della mia famiglia, della mia comunià da che parte voglio stare?
Abbiamo una libertà che, pur nella caduta, si corregge su Gesù Cristo o abbiamo una libertà che si corregge sul nostro io e sul mondo?
“Chi cercate? Gesù il Nazareno. Sono io”.
Gesù ci difende, nonostante la nostra povertà, il nostro sonno e pesantezza, davanti agli attacchi del mondo, alla logica del mondo lui porta  la logica della Croce, della misericordia...
“Sono io, lasciate stare loro”.
Lo dice anche oggi, Lui si offre per noi.
Prendi me accanisciti contro di me, ma non contro di loro, non verso i piccoli, i poveri, gli emarginati.
Se avessimo la consapevolezza  di quanto Dio ci difende dinanzi a Satana, che continua ad accusarci davanti a Dio e ai fratelli, sceglieremmo con più convinzione Gesù.
Nella nostra superbia diciamo di avere sempre ragione, ci vogliamo fare giustizia, vendetta…
Il Signore, in quest giorni, converta il nostro cuore alla deposizione dell’io. Se cercate me lasciate loro. Se cerchi me, non puoi far del male a chi hai accanto.
Non lasciamolo solo perché abbiamo bisogno di comprendere il mistero della Croce:
imparare l’amore crocifisso.
Amen
(Trascrizione non rivista dall'autrice)

giovedì 29 marzo 2018

Giovedì Santo: "Per voi" - "Con me"

Ultima cena, Ulisse Sartini - Cattedrale di Piacenza

“È giunta l’ora”. Gesù siede alla mensa con i suoi discepoli e lava loro i piedi.
In questi giorni santi abbiamo constatato che, da noi, non possiamo dare la vita, ma in realtà, attraverso la Pasqua, entriamo nella vita del Signore.
Tutta la nostra vita è questo passaggio dal “per voi” di Gesù sull’altare al “con me” della lavanda dei piedi.
Nell’ultima cena Gesù dice che questo è il mio corpo e il mio sangue dato “per voi”.
C’è l’offerta della sua vita e poi c’è il rendere partecipi di questa vita. Quando prende l’asciugatoio, se lo cinge, e si mette ai piedi dei discepoli, Pietro capisce l’intenzione di Cristo e dice: “Tu non mi laverai mai i piedi!” La risposta è molto precisa: “Se non ti laverò non avrai parte con me”.
Pietro, i discepoli e tutti noi dobbiamo sempre passare dalla resistenza alla resa. Infatti quando non riusciamo a capire ci opponiamo. Pietro non aveva compreso il gesto grandissimo di Gesù, ha capito però che, se non glielo permetteva, non poteva avere parte con lui. Non voleva perdere il rapporto, la relazione, l’amicizia, l’amore di Gesù, per questo dice: “Lavami tutto, anche il capo”.
Nella nostra vita, nel matrimonio, nella vita consacrata, affermiamo di dare la vita, ma ci accorgiamo che spesso non ne siamo capaci. Si va avanti per grazia di Dio… Si sta insieme perché nonostante le difficoltà, le differenze, gli ostacoli, le incomprensioni ci accorgiamo che non possiamo fare a meno dell’altro perché in fondo lo amiamo.
La domanda di oggi, Giovedì santo, è: “Voglio stare con il mio Signore?”
Si tratta di affermare che Cristo è sempre il mio punto di riferimento, anche nella confusione e nello smarrimento che avvertiamo nella storia.
Desidero che Gesù Cristo sia il Signore della mia vita? Se è così in questa celebrazione rinnoviamo la nostra fiducia, rinnoviamo il nostro essere con Lui, ma non perché siamo più bravi, perché abbiamo capito di più, ma solo perché  senza di Lui non possiamo stare.
Questo basterà, giorno dopo giorno, per avere la grazia necessaria per ricominciare sempre.
Signore io non ho capito, ma rimetto la mia vita nelle tue mani. Signore non ho compreso, vengo meno, però mi fido del tuo atto d’amore, dove tu mi prendi dentro alla tua Pasqua
Sei tu che prendi i miei piedi e li metti nel catino per lavarli. Il catino è la Chiesa, ed è qui che continuerò ad averti: nell’Eucaristia, nella Parola, nella riconciliazione, nei fratelli… Finché ci sarà un tabernacolo sulla terra Tu non verrai meno, perché nell’Eucaristia, tu sei con me. Amen

mercoledì 28 marzo 2018

Mercoledì Santo: "Farò la Pasqua da te"

Masaccio "Tributo" 1425 - Cappella Brancacci Firenze

Il Vangelo di Matteo ci parla dei sentimenti con cui Gesù si avvicina alla sua ora.
“Il primo giorno degli Azzimi i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: “Dove vuoi che prepariamo per te perché tu possa magiare la Pasqua?”. Ed egli rispose: “Andate in città da un tale e ditegli il maestro ti manda a dire: il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli” (Mt 26,17-18).
Gesù è cosciente della sua ora, ma anche della dispersione e del turbamento che toccherà ai discepoli, quindi anche delle situazioni che possono toccare il nostro cuore.
Gesù dice preparate la stanza nuziale, dell’incontro intimo, la stanza del Cantico dei Cantici dello sposo con la sposa. Preparate il vostro cuore…
Mettiamoci nei sentimenti di una sposa che sta preparando attentamente il giorno delle sue nozze: quanta gioia, ma anche quanta trepidazione e confusione nell’animo…
Anche tu, nella grande dispersione o nella agitazione di certi preparativi, devi sentire il Signore che dice: “Farò la Pasqua da te”. Cioè io passerò dalla morte alla vita, dalla luce alle tenebre proprio nel tuo cuore…
La tua vita diventa la tavola imbandita, il luogo dell’offerta e l’altare.
Gesù a questo momento ci arriva con l’intensità dell’amore e della preghiera al Padre.
Forse ci pensiamo poco alla preghiera con cui Gesù ci porta davanti al Padre. Ciò è estremamente incoraggiante, perché significa che non siamo destinati alla dispersione, alla globalizzazione, all’indifferenza, ma siamo chiamati per nome e portati davanti al Padre.
Quando ci mettiamo in adorazione davanti al Signore entriamo nella preghiera di Gesù e facciamola nostra, allora capiremo quanto Lui intercede per noi per strapparci dal male, dalla nostra dispersione.
Ciò avviene tutti i giorni attraverso l’Eucaristia: “Farò la Pasqua da te”. Succede anche quando io non sono a posto, allora Lui più che mai li è presente.
Quando si mette a tavola e dice: “Uno di voi mi tradirà”. Gli apostoli sono rattristati profondamente e si dicono ciascuno: “Sono forse io?”
Nessuno si sente a posto intorno a quel tavolo. Andiamo all’Eucaristia portando e consegnando noi stessi con quello che siamo e facciamo.
Accostarsi al Pane è l’unico modo per guarire e andare incontro al medico e alla medicina.
Attorno a quella mensa che io possa diventare sempre di più come Pietro, come Giovanni e un po’ meno come Giuda. Ma è l’Eucaristia che trasforma, che mi dà, non perché sono giusto, la capacità di ascolto e di accoglienza.
Concedimi Signore un cuore contrito non per stracciarmi le vesti, ma per piangere di commozione al pensiero che tu mi aspetti, preghi per me e ti doni a me.
“Per grazia di Dio sono quello che sono e la sua grazia in me non è stata vana” (1Cor 15,10).
Amen.
(Trascrizione non rivista dall'autrice)

martedì 27 marzo 2018

Martedì santo: Darò la mia vita per te!

Il capitolo XIII di Giovanni ci pone la figura di tre discepoli, Giovanni, Giuda e Pietro, che hanno comportamenti diversi dinanzi a Gesù e sintetizzano bene  il nostro cuore.
Si può cogliere un'esperienza che, anche noi, possiamo vivere.
Poggiare il capo sul petto di Gesù come Giovanni e sentirne il battito, l'intimità, è quello che, almeno una volta nella vita, abbiamo desiderato.
Abbiamo provato anche la tentazione di Giuda, con senso di ribrezzo, di disprezzo verso il nostro Signore, cioè l'essere presi dentro dal male.
Abbiamo  pure sperimentato la generosità di Pietro con la sua espressione: "Darò la mia vita per te!".
Tre esperienza di cuore, ma un unico volto: Gesù Cristo.
Come si pone il Signore davanti a noi?  Ci chiede di essere nella verità e di riconoscere la nostra povertà.
Quanto è ingannevole la generosità di Pietro che, se non passa dal crogiuolo della Croce, non ha consistenza. Anche noi lo diciamo spesso nei confronti delle nostre sorelle, di mia moglie, di  mio marito, della mia comunità... Ma quante volte veniamo meno...
Solo la Croce purifica realmente il nostro cuore. La generosità da sola non può nulla, non sostiene una vocazione, svanisce come pula al vento. Davanti alla prima tentazione e alla prima difficoltà, insorgono domane e dubbi e il volto del Signore e di coloro che amiamo svanisce.
L'espressione "Dare la vita" diventa efficace solo quando consegno l'esistenza a Gesù ed egli, che vive in noi, la trasforma in dono.
Se Cristo abita in noi, con i suoi sentimenti, allora siamo capaci di dono.
E' importante arrivare alla Pasqua  con la consapevolezza che solo Lui può dare la vita vera.
Ecco il valore dell'Eucaristia, l'insondabile possibilità che abbiamo tutti i giorni di essere presi dentro dal Pane e dalla Parola per poi essere capaci di dono nel nostro quotidiano.
Per ben tre volte in questi versetti del Vangelo si narra che Giuda intinse il boccone, quando poi esce il testo sottolinea che "era notte"...
Tutti i giorni c'è questo passaggio tra il boccone del male che è in noi e l'eucaristia che lo toglie.
Quante volte bocconi amari, parole amare, gelosie, invidie entrano dentro di noi come bocconi di tentazioni e di possibilità di compiere il male, ma attraverso l'eucaristia, attraverso la Parola di Dio, la parola buona di un fratello o di una sorella, riusciamo a metterli fuori.
Ecco perché è importante lasciarsi avvolgere dal pensiero di Cristo. "Dare la vita" è proprio assumere la sua bontà, la sua bellezza, il suo amore, la sua misericordia, il suo perdono.
"Tutto posso in colui che mi da forza" (Fil 4,13) "Quanto a me il vivere è Cristo" (Fil 1,21).
Cioè devo scoprire presenza di Cristo che mi coinvolge totalmente e docilmente consegnarmi a Lui.
E' importante che oggi guardiamo al nostro cuore  e capire quello che lo abita.
Lo abita il desiderio, la passione, l'amore di Giovanni?
Lo abita il boccone amaro di Giuda?
Lo abita la generosità, che va purificata, di Pietro?
Amen
(trascrizione non rivista dall'autrice)

lunedì 26 marzo 2018

Lunedì Santo: "Il profumo di Maria"

"Gesù andò a Betania dove si trovava l'amico Lazzaro.
Maria prese 300 grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, e cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli e tutta la casa si riempì dell'aroma di quel profumo" (Gv 12).
È lo spreco dell'amore: un cuore di donna ci apre questa settimana santa. Mancano sei giorni alla Pasqua, la creazione al sesto giorno fu completata con la creazione dell'uomo.
"Dio ha creato il mondo e poi ha chiesto a una madre di custodirlo" così dice un detto rabbinico.
Maria, nel racconto di Betania, è la figura della Chiesa che custodisce il suo Signore. Questa donna è ai piedi di Gesù. È un posto che, anche strisciando per terra, perché incapaci di rialzarci o perché desiderosi di inchinarci, tutti possiamo raggiungere. Solo chi è altezzoso e superbo non riesce a vedere i piedi di Cristo, ma, per chi ama, per chi desidera servire, sono molto visibili, sono toccabili, si possono baciare, lavare e asciugare. Gesù lo permette, lascia che noi ci prendiamo cura di lui. Si fa avvolgere dal nostro affetto, dalla nostra intimità, dal nostro desiderio, tutti i giorni rinnovato, di stare con lui. Cristo sa che siamo incostanti, che siamo deboli, ma lui c'è sempre...
Si fa tanta fatica ad avere bisogno degli altri, chi ha fatto l'esperienza della malattia, dell'incapacità, sa cosa vuol dire lasciarsi lavare, pulire e cambiare. Li si percepisce se c'è il tocco dell'amore o se ce qualcosa di freddo, distaccato, nervoso, senza calore e attenzione...
Ognuno di noi oggi ha davanti i piedi di Gesù, si manifestano in tanti modi: attraverso una sorella, un fratello, un bambino, un anziano, una persona che ha bisogno di una parola. Come e in che modo mi dispongo a lavare i piedi ai miei fratelli e sorelle?
Maria pone molto attenzione, dimostra grande amore, dona tempo, dona tutto il profumo che ha.
"Il profumo riempì tutta la casa", significa che quando sprechi l'amore, cioè quando doni tutto l'amore esso si espande, non si contiene. Quando si fanno le pulizie di Pasqua si sente in tutta la casa la fragranza del pulito. Cioè c'è aria nuova, fresca, pulita, il bene crea altro bene, non si riesce a trattenerlo è contagioso. Fa bene, prima di tutto, a chi lo esercita: la donna del Vangelo mentre faceva questo gesto, lei stessa, si inebriava del profumo: era un bene che si rovesciava su altro bene...
È un umile gesto che viene capito proprio solo da Gesù, i commensali, i discepoli, molto distratti, non hanno apprezzato questo. Giuda è infastidito, ha parole di disprezzo, invece l'amore così piccolo e nascosto prende forma e consistenza perché incontra l'umiltà di Cristo.
"Ecco il mio servo che io sostengo, non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta" (Is 42,1-3).
Tutte le volte che noi compiamo umili servizi e gesti di amore, tutto ciò non è nascosto a Colui che è mite ed umile di cuore, anzi direi che proprio ci incontriamo con il Signore. Significa che i nostri gesti quotidiani e i nostri piccoli atti di amore prendono un valore enorme. Santa Teresa di Lisieux, diventata Dottore della Chiesa, ha fatto tanti piccoli atti d'amore, molto nascosti alla comunità, ma visibilissimi al cuore di Cristo. Le sue sorelle, quando sono andati ad investigare sulle sue doti di santità, hanno detto: "Ma che cosa di eccezionale ha fatto questa monaca?" Dicevano: "Era come una di noi". Però nei suoi gesti quotidiani c'era ogni volta un atto di amore: aiutare la sorella, lo stare al suo posto nel lavatoio, il tacere quando veniva mortificata...
Questa è la strada: lo spreco dell'amore. Amen
(trascrizione non rivista dall'autrice)



domenica 25 marzo 2018

FAMIGLIA, luogo di misericordia

Devo vedere nell'altro la persona che amo, altrimenti vago nella foschia e nella notte...






























Signore tu lavi i piedi a me? Alla scuola del Servizio Divino

La lavanda dei piedi: un Dio che si inginocchia davanti all'umanità.
Milano - Chiesa del Santo Sepolcro, Terracotta del 1500






DOMENICA DELLE PALME: Passione del Signore


Inizia una grande settimana. È la settimana in cui anche il nostro cuore, addirittura la nostra vita, può prendere una svolta se davvero ci lasciamo attraversare dalla parola, dalla liturgia e, soprattutto, se rimaniamo con lo sguardo fisso su Gesù.
Oggi attraverso il testo della passione credo che possiamo ripercorrere la nostra vita. Dentro alla passione di Gesù ci sono tante tappe che abbiamo vissuto anche noi.
Tutti i personaggi: dagli scribi, ai farisei, da Giuda a Pietro, dalle donne… vivono un po’ dentro di noi.
Abbiamo provato un senso di tradimento verso Gesù. Se mi guardo dentro mi accorgo che c’è stato il momento in cui ho “venduto” il Signore, in cui le mie parole non sono state mantenute.
Ci sono altri momenti in cui riconosco la defezione di Pietro, quando ho abbandonato Cristo al suo destino. Altre volte abbiamo avuto situazioni di insofferenza, come gli scribi e i farisei, con espressioni di giudizio e di condanna verso Gesù e verso i fratelli. Ma ci sono stati anche momenti in cui abbiamo portato la croce come il Cireneo, oppure ci siamo fermati davanti a un volto sofferente che ci ha impresso nel cuore un nuovo modo di leggere la vita. Abbiamo sperimentato quello che ha vissuto la Veronica nel cuore: il coraggio di uscire dalle fila e di esporci per un uomo o una donna, per un bambino in difficoltà... 
Siamo, altre volte, come Maria e le donne, rimasti in una situazione di sofferenza, non siamo scappati… Li ci siamo accorti, come non mai, della forza della Croce, della potenza dell’amore.  Queste donne hanno avuto una affezione per coloro che gli sono stati affidati che ha saputo attraversare la storia, le ingiurie le calunnie e sempre si sono fatte trovare al loro posto.
Una forza che speciale delle donne che se ce l’avessero detto qualche anno prima non avremmo creduto di avere e invece nella prova siamo state capaci di rimanere al nostro posto.
Ecco le tante figure che ripercorrono anche la nostra vita…
Ma forse c’è qualcosa di più nel racconto di questa Passione: c’è un fanciullo che scappa, il lenzuolo che lo ricopre cade per terra. È l’immagine davvero di una vita vecchia che lascia il posto ad una vita nuova.
In questa Pasqua anche il nostro uomo vecchio può lasciare il posto all’uomo nuovo. Questo fanciullo perde il lenzuolo, un lenzuolo che poi ritroviamo ad abbracciare il corpo di Gesù deposto dalla croce, un sudario piegato, nel sepolcro ormai vuoto, che rappresenta la nostra vita.
Quando si abbraccia Gesù si passa dall’uomo vecchio all’uomo nuovo, si entra nel sepolcro, si entra nella notte, nella morte, ma abbracciati a lui si risorge.
Faremo anche noi l’esperienza del centurione: un nuovo modo di guardare Cristo, una nuova contemplazione che è guardarlo con gli occhi del cuore.
Davanti alla nostra storia, rileggendo la passione del Signore rivivremo la nostra vita e cosa troveremo? Scopriremo che il Signore c’è sempre stato, dall’inizio alla fine. Come è presente in questa grande liturgia.
I personaggi passano, la nostra vita con le sue cadute e le sue riprese passa… Lui non passa, Lui rimane.
Ecco allora la bellezza, la nostra forza, la nostra gioia: fare memoria che Cristo, fin dall’inizio e fino alla fine, sarà con me. Non c’è giorno, non c’è situazione, non c’è stato momento di alternanza del cuore che lui non abbia vissuto insieme a me. È su questa fedeltà di Dio, su questo "stare" di Gesù Cristo che io posso veramente gioire.
Lasciamoci guardare da Gesù e cerchiamo di vedere Cristo dentro la nostra storia e allora anche questi giorni santi cambieranno il corso della nostra vita, perché l’oggi di Dio è reale. Oggi questa parola è per me. Amen
(Trascrizione non rivista dall’autrice)

RIDARE IL PRIMATO A CRISTO NELLA VITA DELL'UOMO

“Se l’uomo scopre che in Dio ha un padre e un amico, nella sua vita tutto cambia”. A parlare è madre Maria Emmanuel Corradini, originaria di Reggio Emilia, dall’estate 2012 abbadessa del monastero benedettino di San Raimondo a Piacenza. Con lei cerchiamo di capire che cosa può essere il Natale per noi oggi.
— “Lungo la via non smarrite la patria” è il tema dell’Avvento in diocesi. Mentre le “periferie” - come dice Papa Francesco - bussano alla porta del convento (persone senza lavoro, famiglie in crisi, giovani preoccupati del futuro), come rileggi queste parole di San Colombano? 
Come un invito a rimettere Cristo al centro, perché senza Cristo siamo uomini dispersi. È Lui che dà unità alla nostra vita. Non dobbiamo attendere le situazioni favorevoli per operare il bene, vivere il Vangelo. Se riflettiamo con attenzione, ci accorgiamo che non c’è mai stata storia senza dispute e guerre. Il mistero dell’iniquità, convive da sempre con quello del Natale e della Pasqua e da sempre colpisce l’uomo. Nei giorni immediatamente seguenti la festa della nascita di Cristo si celebrano il martirio di Santo Stefano e quello dei Santi Innocenti. Il mistero dell’iniquità sedeva anche a tavola con Gesù durante l’ultima Cena. Non esiste mai un tempo reale di pace e di quiete, il mistero dell’iniquità è attorno a noi e in noi. Non c’è mezza misura: o luce e tenebre, o superbia o umiltà, o apriamo la porta a Gesù che viene a salvarci o ci richiudiamo nella autosufficienza.
— E nella vita di tutti i giorni questo cosa significa?
Rimettere al centro Cristo cioè rimettere al centro l’uomo. Oggi, invece, tutto viene vissuto in solitudine. Le persone si trovano senza lavoro ma anche senza un parente o un amico con il quale condividere, la pena, la fatica. E’ necessario affrontare insieme quello che il quotidiano ci chiede riscoprire la solidarietà. Dobbiamo rimettere al centro Cristo per essere aiutati a vivere dal di dentro, con occhi di fede, le situazioni difficili che incontriamo tutti i giorni.
— Qual è l’angoscia più grande che si coglie ascoltando chi viene in monastero a cercare un confronto?
La solitudine. Arrivano tanti cuori frantumati che non hanno, o non ricevono, amore, perdono. Spesso sono sfiduciati e incapaci di trovare una ragione per vivere. Portano pesanti fardelli di malattie, di separazioni e incomprensioni. Tante volte la medicina per rinfrancare i cuori sta in un ascolto attento, pieno d’amore, un silenzio compassionevole e una presenza che si fa vicinanza econdivisione.
— Ti capiterà di scoprirti impotente di fronte alle difficoltà...
La mia “impotenza”, si riversa nella potenza della preghiera, nel rimettere tutto quello che ricevo ai piedi di Gesù, perché la preghiera è capace di arrivare là dove l’umano non può più nulla. Apparentemente c’è l’impotenza di non poter contribuire a risolvere le situazioni, invece l’aiuto viene dal rimettere tutto a Dio. È questo quello che noi monache chiediamo per tutti: la grazia della consolazione e dell’avvento di Dio affinché la grazia, l’oggi di Dio della sua presenza si manifesti.
— Parlavi di preghiera. Voi a che ora cominciate al mattino?
Al monastero si inizia a pregare nel cuore della notte. Ci alziamo alle 4.20 e alle 5 iniziamo a pregare con l’Ufficio di letture. Alle 6 la chiesa viene aperta, alle 6,45 iniziano le Lodi. È bello pensare che esiste un cuore pulsante che si irradia sulla città, che si stende come mantello sulle avversità di tutti. Le difficoltà si “alzano” con noi, ma se il nostro sole è Gesù Cristo, allora si riesce ad elevare il capo e ad affrontarle.
— Nel guidare come in questo Avvento gli incontri di “lectio divina”, metti al centro la Parola di Dio. Una scelta non da poco...
La Parola illumina la storia e permette di interpretarla. La Parola si rivolge all’uomo, è Dio che cerca attraverso di essa il colloquio con la sua creatura. Ciò che mi appassiona è la passione che Dio ha per l’uomo che è passione d’amore e che ritrovo nella Parola di Dio. Parlando al cuore dell’uomo cerco di fargliela scoprire. Se Dio ha dato tutto se stesso per recuperare l’uomo e donargli la salvezza, questi non può buttarsi via, deve riconoscere la propria bellezza e la propriadignità. L’uomo è grande e capace di risorse che nemmeno lui sa di avere. Lo si vede in tante testimonianze di persone semplici e umili che compiono gesti di santità vera nella vita quotidiana.
— L’Anno della vita consacrata, che si è aperto da poche settimane, aiuta a ripensare alla propria vocazione. Qual è stata la tua esperienza?
Avevo 21 anni e studiavo medicina all’Università di Bologna. Fu lì che tutto cominciò. Poi, esercitando la professione di medico al reparto di Malattie Infettive all’ospedale di Parma, ho avvertito la passione per l’uomo che diventa “divino” quando si lascia abbracciare da Dio. Era la fine degli anni ‘90 e il virus dell’HIV faceva paura: i giovani morivano, non c’erano terapie e si temeva il contagio. Nel mio piccolo, ho assistito a riconciliazioni impensabili e a conversioni che portavano a interrogarsi sul mistero di Dio e dell’uomo.
— E poi...
Ho scoperto che la mia vocazione era di donarmi, spendermi per Gesù nella preghiera e nel silenzio. Seguire Cristo presente nel tabernacolo: lui il Signore della storia che attende paziente e silenzioso il nostro andare a Lui. Nella via del nascondimento e della preghiera ho capito che potevo arrivare a tutti, proprio come Gesù, nella notte, quando saliva sul monte elevando la sua preghiera d’intercessione e d’amore al Padre.
— Come sei arrivata alla scelta della clausura?
La chiamata è sempre una chiamata all’amore, che poi si realizza in modalità diverse, e per me è stata la clausura. Ho colto come la preghiera diventava la vera carità da “estendere” su tutti. In clausura si attua il morire a se stessi attraverso l’obbedienza per far nascere Cristo, il consegnarsi della volontà, l’offrirsi per i fratelli attraverso il lavoro. È bello pensare che nei monasteri di tutto il mondo ad ogni ora c’è qualcuno che è orante sul monte per ogni uomo, come Gesù, l’unico vero e perpetuo orante che non smette mai di intercedere presso Dio.
— Tu vedi Piacenza da un punto di osservazione particolare. Come ti sembra la città?
Ho trovato una città bella, vera, ma dove la gente sperimenta grande solitudine. Quando al mattino vedo la chiesa piano piano riempirsi per partecipare alla Liturgia delle lodi e alla S. Messa colgo come le persone qui cercano una parola che rinfranchi e sostenga i loro passi. Un luogo dove “appoggiare “ un po’ il capo e riposare.
— Come si vive il Natale nella tradizione benedettina?
Semplicemente si mette Cristo al centro, facendolo nascere in ogni luogo. Non c’è stanza del monastero in cui non ci sia un piccolo Gesù Bambino. Si cerca di vivere molto in silenzio, e di preparare il monastero come una culla in cui il Signore possa incarnarsi.
— Oggi il vostro monastero conta una decina di monache. Ma le vocazioni in Italia diminuiscono a vista d’occhio. Cosa accadrà nella Chiesa?
Sono certa che la grazia di Dio non farà mancare i suoi segni. L’importante è vivere in pienezza l’attimo presente, sentirsi nelle mani del Signore e operare per il bene e la giustizia. Amare molto e perdonare. Già questo porterà i suoi frutti. Per ora nel nostro monastero non c’è stato ancora nessun movimento vocazionale, ma nulla è impossibile a Dio.
— Qual è il tuo augurio ai giovani?
Dico loro di non temere perché Cristo non abbandona il suo figli. Di lasciarsi conquistare dalla tenerezza di Dio e di trovare dentro di sè la forza per decidere di fare della propria vita un dono.
Davide Maloberti

SAN RAIMONDO: LOCANDA DELLO SPIRITO PER LA CITTA'

I monasteri sono oasi in cui Dio parla all’umanità" ha dichiarato Benedetto XVI in una catechesi dedicata alla preghiera. Se un monastero è nel cuore di una città, dovrebbe quindi almeno ricoprire il ruolo di oasi per gli uomini di quella città. Il monastero benedettino di San Raimondo è proprio nel cuore di Piacenza, sul Corso Vittorio Emanuele II, eppure negli ultimi decenni la sua presenza non è stata particolarmente attiva nella vita della Chiesa piacentina, sebbene il vescovo Manfredini, all'indomani della chiusura del Concilio Vaticano II, l'avesse indicato con lungimiranza come Centro della Liturgia della città, aprendo a tutta la comunità cristiana la possibilità dell'ascolto della Liturgia delle Ore e di celebrazioni esemplari proprie delle comunità monastiche benedettine. Purtroppo, a causa forse dei tempi ancora non maturi all'interno della Chiesa, l'iniziativa non ebbe molto seguito, trascinandosi nel corso dei decenni successivi.
Ora, qualcosa è cambiato, il monastero ha ripreso ad aprire le sue porte. Grazie all’interessamento  del vescovo Gianni Ambrosio presso la Santa Sede per rilanciare il monastero e questi tornasse ad essere un luogo orante in cui il primato di Dio, il primato della Parola, riprendesse il suo posto nella città è giunta, con un’altra giovane monaca, Madre Maria Emmanuel proveniente dal monastero benedettino dell'Isola di San Giulio, sul lago d'Orta. Questa nuova presenza ha già portato il monastero nell’arco di 18 mesi a riallacciare i rapporti con la città, aprendo le porte della chiesa di san Raimondo alle 6 del mattino ed iniziando alle 6,45 la celebrazione delle Lodi seguita dalla lectio e dalla S. Messa a cui ormai partecipano sempre un crescente numero di persone che dopo essersi fermate per la celebrazione delle lodi e l’ascolto della lectio vanno al lavoro. La S. Messa, celebrata da sacerdoti della città che si alternano nel turno settimanale, crea l’opportunità di una reciproca conoscenza prima di tutto spirituale e anche un collegamento tra il monastero e le comunità parrocchiali. Infatti, soprattutto nei tempi forti, sono tante le richieste di ritiro per gruppi  parrocchiali,  incontri per fidanzati, singoli o coppie  per i colloqui.
Colloqui, che si sono incrementati dopo la frequentazione di un folto gruppo di persone alle Lectio serali effettuate al venerdì sera alle ore 21 nel tempo di Avvento e Quaresima dove in quest’ultima c’è stata un’alta partecipazione con il suo epilogo nel quaresimale diocesano.
Il monastero sta riprendendo il ruolo che gli compete: quello di donare il Signore attraverso la vita monastica. Avviene come l’icona della Visitazione dove l'abbraccio tra la comunità monastica e la città è come l'abbraccio tra Maria che ha in seno Gesù, ed Elisabetta che ha in grembo Giovanni Battista, l'umanità, un abbraccio in cui entrambe esultano, perché dove c'è Dio si canta il Magnificat, regna la gioia, la carità, la pace, la benevolenza, il rispetto.
Il clima di silenzio e di ascolto che pervade San Raimondo sta aiutando molti a riscoprire il Signore e a pacificarsi interiormente anche attraverso la Liturgia delle Ore e la preghiera orante che accomuna le monache e le persone che transitano lungo il Corso V. Emmanuele ed entrano in chiesa, o con gli ospiti o con i gruppi che giungono al monastero. Questa presenza e preghiera  monastica  aiuta  a vivere e a
sentire cum Ecclesia, pregare come Chiesa. La stessa Chiesa però è chiamata a riscoprire la dimensione dei monasteri come luoghi dove Dio e la sua Parola hanno il primato e quindi l’uomo stesso. Bisogna riportare tutto a una dimensione più umana, dove l’attenzione all’uomo, e alla sete che ha nel cuore sia al centro della comunità cristiana.
Nonostante una cultura che cerca in tutti i modi di scalzare il cristianesimo, di irridere coloro che credono in Cristo, molte sono le persone che bussano alla porta di San Raimondo, tutte desiderose di ricevere un aiuto morale, spirituale o materiale, o almeno di trovare dentro al monastero e attraverso una monaca una risposta alle loro domande. Nella maggior parte dei casi tutti affermano di trovare una pace, una serenità disarmante. A volte è “l'ultimo approdo” in cui riversare le poche speranze rimaste, un luogo dove condividere e deporre le proprie sofferenze oppure, attrverso un incontro,  formulare il bisogno di ascolto e di preghiera. Le persone hanno bisogno d’incontrare un volto umano che attesti semplicemente con la sua persona, con il suo modo di fare, il suo sorriso, che c'è Qualcuno su cui si può contare. Una certezza che dà sicurezza e che trasmette sicurezza. Il monastero è come una “locanda” lungo la strada che raccoglie, dà sostegno umano e spirituale e spesso attraverso la Provvidenza, anche materiale. La prima esigenza di San Benedetto non è di proteggere la comunità dei monaci dalle influenze mondane, ma quella di immettere nel cuore il senso soprannaturale dell’uomo che bussa alla porta. Recentemente e stata aperta la foresteria situata in un’ala del monastero che da sul Corso. Essa, ha libero accesso alla Chiesa di San Raimondo e alla portineria del monastero; ha una capienza di 10-12 posti letto una ampia sala, cucina e permette a chi lo desidera di sperimentare una “sosta dello spirito” frequentando le celebrazioni, sostando in preghiera nella chiesa silenziosa e accogliente di san Raimondo e chiedendo se necessario lectio per la meditazione personale, o colloqui  personali .
La comunità monastica di San Raimondo è costituita prevalentemente da sorelle anziane, sette, che hanno mantenuto vivo il carisma monastico. E’ una grande eredità vivere in una comunità così povera per certi aspetti legati soprattutto all’età, ma così ricca di sapienza. Le quattro sorelle più giovani ben si sono inserite nella comunità e danno un grande apporto nel lavoro, nei servizi e nel canto liturgico permettendo fin d’ora di partecipare ad una Liturgia sobria e bella. Inoltre il carisma della Madre di spezzare la Parola ha segnato sia la spiritualità del monastero che l’inserimento di esso nel territorio divenendo   contemporaneamente  lievito che fa fermentare la città e coesione nella Comunità.
Il primato a Cristo e alla sua Parola, attraverso il monastero quale “locanda dello Spirito”, è il bicchiere d’acqua che ristora, disseta e permette di riprendere il cammino affrontando insieme la strada della vita.
Madre Maria Emmanuel Corradini