Il Buon Pastore - Cristobal Garcia Salmeron 1660 |
Nel Vangelo di
Giovanni 10,11-18 ascoltiamo: “Io sono il buon pastore”; affermazione che Dio
da di se stesso, espressione di bontà e di amore.
Anche nell’incontro
con il giovane ricco Gesù afferma che uno solo è buono e si riferisce a Dio
Padre. Ciò dovremmo portarcelo sempre alla mente, quando il buio nel cuore e le
situazioni di difficoltà ci fanno tremare, ricordiamoci che siamo tenuti tra le
mani di un pastore che è buono e come tale cerca la bontà e l’amore.
Nella vita
si è pastori, si conducono delle persone, ma nello stesso tempo non si smette
mai di essere pecore che seguono.
Sant’Agostino
dal Discorso sui pastori afferma:
“Quando
Cristo affida le pecore a Pietro, certo gliele affida come uno che le dà a un
altro distinto da se, tuttavia desidera che Pietro sia una cosa sola con lui”.
Cristo e
Pietro sono uniti come lo sposo e la sposa, Gesù chiede a Pietro, ben tre
volte, se lo ama.
Quindi significa
che tu puoi pascere perché sei unito a me.
La domanda, “Mi
ami?”, fatta a Pietro è rivolta anche a noi. Infatti se amiamo possiamo
prendere a carico le persone affidateci e dare la vita per loro.
Perciò alle
persone a cui tu fai da pastore insegnerai il Signore. Ecco la grandezza dell’unità.
Quando sono pastore devo permettere che Cristo possa amare attraverso di me.
Allora
quando, tante volte, noi facciamo fatica ad accettare l’altro non è solo una
difficoltà di sensibilità e di predisposizione…
L’abate
Lepori dice che, in una comunità monastica, quando non si amano le sorelle o i
fratelli, non è solo una questione di “piace o non mi piace”, “vado d’accordo oppure
no”. Siccome ci ha messo insieme lo Spirito Santo, quando non si va d’accordo e
non si ha empatia, apertura nei confronti degli altri, è una questione di fede.
Significa che manco di fede se non vado all’altro.
Allora noi
cristiani abbiamo perso questo sguardo di fede sulle pecore che ci sono state
affidate, sui familiari, sui fratelli e le sorelle, manchiamo di amore e di
carità.
È un grande
cammino di conversione per noi, un tragitto che la risurrezione ci porta a fare.
Significa non vedere più gli altri nella loro carne mortale, ma vederli come
figli di Dio.
Quando gli
altri ci offendono e sono diversi da quello che vorremmo evitiamo l’incontro, oppure
li eliminiamo come purtroppo succede e come vediamo nel mondo.
Bisogna
essere una cosa sola con Cristo per poter amare le pecore che ci sono state
affidate, in questo modo conosceranno il Signore che è un vedere del cuore.
Il Vangelo chiede
un processo di cammino interiore sia del pastore che delle pecore, dove uno va
verso l’altro e tutti confluiscono in Cristo per dare la vita.
Le pecore
seguono non tanto perché hanno capito tutto, ma perché si fidano, non per grandi
elucubrazioni personali, ma semplicemente perché si sentono amate.
Ecco: il
voler bene, la fiducia è un cammino, bisogna dare tempo alle pecore di
conoscere il pastore, ma anche il pastore non può bruciare le tappe, deve avere
il tempo dell’amore, il tempo opportuno della carità.
Un camino
richiesto a noi in quanto pecore che porta a dare la vita come lo è stato per
Santa Franca, per suor Lionella, per tutti i santi: uomini e donne che sono
stati pastori di un gregge capaci di dare un grande amore come conseguenza del
loro rapporto con Gesù.
Amen
(trascrizione non rivista dall'autrice)
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