Meditazioni di Madre Maria Emmanuel Corradini - Monastero San Raimondo Piacenza
mercoledì 11 dicembre 2024
La speranza è Qualcuno
sabato 17 agosto 2024
lunedì 12 agosto 2024
sabato 10 agosto 2024
domenica 28 luglio 2024
sabato 13 luglio 2024
lunedì 8 luglio 2024
venerdì 17 maggio 2024
Non avere paura di amare
“Non dobbiamo temere di amare, ma osare nell'amore”. È il titolo della meditazione condotta da Madre Emmanuel Corradini lo scorso 4 maggio, presso il monastero di San Raimondo. “Tassello conclusivo di un più ampio percorso di riflessione sul tema «Imparare l'amore» – ha tetto la Madre all'inizio della sua lectio – , nell'analisi di oggi ci faremo aiutare molto dalla parola di Dio sul Vangelo e sulla prima lettera di Giovanni”.
Poi ha citato subito il capitolo XIII del Vangelo di Giovanni. “Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Così amatevi anche voi gli uni gli altri: da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri”. Non dobbiamo eludere questo comandamento – ha quindi spiegato la suora - , nel Nuovo Testamento è l'unico che il Signore ci dà. Lo fa alla fine dell'ultima cena, dopo aver ricevuto il tradimento di Giuda ed essersi offerto come cibo e bevanda per la nostra salvezza. È questo il contesto in cui Gesù raccomanda ai discepoli reciproco amore. Non chiede loro di seguirlo da Ponzio Pilato o di andare con Lui sulla croce. Chiede solo di amarsi gli uni gli altri, perché da questo saranno riconosciuti. Anche noi alla fine saremo infatti interrogati sull'amore. Non ci verrà chiesto della vita del vicino, o di quella dei figli e del marito. Saremo interrogati sulla nostra capacità di amare”.
Il patrimonio della Chiesa
“Qual è il tipo di amore di Gesù – riflette la suora - . Gesù ama consapevole di rimanere nell'amore del Padre - ha osservato – . La consapevolezza e la certezza di essere amato dal Padre fino alla fine lo accompagnano anche sulla croce. Ecco perché tante volte nel Vangelo ci chiede di credere all'amore che Dio ha per noi. Noi veniamo meno proprio in questo. L'insidia del peccato originale ci porta a credere che Dio ci ami a tratti, a tempo determinato. Gesù sa invece di 'rimanere fino alla fine dentro all'amore del Padre, senza poterne essere separato. Ma per rimanere bisogna avere molta docilità – precisa - , molta umidità, tanta obbedienza. Le relazioni, anche quelle umane, non devono essere coltivate solo quando le cose vanno bene. Si resta con pazienza e umiltà anche quando vanno male. La bellezza dell'amore di Cristo è questa: a differenza di noi, che spesso ci sentiamo presi in giro da Dio, Lui rimane fino alla fine, e con la sua obbedienza riporta fino alla fine ciascuno di noi dentro all'amore del Padre”.
L'amore di Gesù è anche un amore donato – aggiunge. È l'amore della vittima innocente, non gli rimane neanche una goccia di sangue. Dona tutto per la salvezza di tutti. L'amore incondizionato di Gesù è quindi diventato il criterio dei primi cristiani: da duemila anni ci sono persone che continuano ad offrire la propria vita per Gesù, anche a costo di subire martirio e persecuzione. È questo il patrimonio della Chiesa, è visibile a tutti e nessuno potrà scalzarlo.
Amarci gli uni e gli altri
Poi l'abadessa di San Raimondo cita il capitolo quarto della prima lettera di Giovanni. Amiamoci gli uni gli altri perché l'amore è da Dio. Chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio, chi non ama non ha conosciuto Dio. In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio ma è Lui che ha amato noi e ha mandato il Suo figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati”. Il Signore ci dice – ha spiegato - che se noi lasciamo passare il suo amore dentro di noi, allora potremo rivelare Dio e attraverso questo amore riusciremo ad mare gli altri. Ma perché è così indispensabile amare gli altri? “Siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte” – sottolinea la Madre facendo ancora riferimento alla lettera di Giovanni. Noi non riusciamo ad amare l'altro per avere la vita. Lo vediamo anzi come un fastidioso impedimento da eliminare. San Silvano del Monte Athos dice che “soffriamo perché non amiamo il nostro fratello. Quando amiamo, l'amore di Dio viene a noi. Bisogna sforzarsi ogni giorno di fare il bene, di imparare l'umiltà di Dio”. Dove si spegne l'amore di Dio – fa notare quindi la suora - l'amore umano diventa egoistico, e l'egoismo è sempre un'opzione contro la vita. Il vero amore per l'altro non può mai limitarsi alla sola protezione della vita. Noi pensiamo che limitarci alla protezione della vita, all'organizzazione sociale o affidarci alla scienza questo sia sufficiente per alimentare la vita. Ma non basta. Dare il pane e un tetto a chi ha bisogno è importante, ma non è sufficiente: dobbiamo soprattutto offrire all'altro il dono fondamentale della conoscenza di Cristo e del Suo amore per ogni uomo. Dobbiamo dare opportunità di salvezza, aprire nell'altro una speranza. Lo ha fatto Madre Teresa di Calcutta, soccorrendo i poveri abbandonati in strada. Li ha salvati soprattutto parlando loro di Dio”.
La debolezza dell'uomo
Poi ricorda una pagina delle “Imitazioni di Cristo”. L'amore è nato da Dio e non può riposare se non in Dio, al di là di tutte le cose create. Colui che ama vola, corre, gioisce. Dona tutto per tutti e ha tutto in ogni cosa, poiché trova a riposo nel solo, grande amore che scaturisce da Dio”. Per amare i fratelli, la moglie, il marito e il figlio – ha detto la superiora – dobbiamo quindi compiere un passaggio: arrivare a riconoscere che il nostro amore non viene da noi ma da Dio, e considerare l'altro figlio di Dio. Moglie, marito e figli sono persone per le quali Dio è morto dando la vita”.
“Oggi siamo diventati estremamente deboli nell'amore proprio perché abbiamo eliminato Dio – osserva poi l'abadessa -. Abbiamo timore di innamorarci, abbiamo paura di mostrare le nostre debolezze e di essere respinti. Non siamo capaci di essere i primi ad amare indipendentemente dalla risposta degli altri. Soprattutto la generazione dei nostri giovani ha molta paura di amare, teme di soffrire, di lasciare sicurezze e difese personali basate su cliché imposti dalla società. Molti ragazzi non riescono a controllare le proprie emozioni e scappano. Alcuni giovani o adulti che siano, arrivano addirittura a dire che amare è un male”.
Oggi si vive pensando che l'amore sia sicurezza emotiva, favola romantica, oppure che la costruzione della personalità individuale debba coincidere con titoli, qualità fisiche, soldi – continua - . Al contrario l'amore autentico è la vera vittoria sull'ego, sul nostro io. Chi pensa di amare la sua vita amando il proprio individualismo, il proprio comodo e il proprio guadagno la perde. Ecco perché il cristiano, attraverso la familiarità con Cristo e quindi tramite un percorso di crescita interiore, riesce a vivere una vita di comunione con l'altro che è persistente opera di conversione”. Vivere per l’altro e con l'altro è infatti prima di tutto una decisione interiore e implica una conversione continua – ha ribadito la Madre -. Un passaggio ripetuto dalla morte alla vita, dal nostro io al tu dell'altro, per diventare insieme un noi. La comunione con l'altro e con Dio non si vive infatti in addizione, ma sempre in profondità. Bisogna mettersi in gioco fino in fondo, accettando che l'amore costa fatica”.
La paura di amare
Perché allora abbiamo paura di amare? Alla domanda sembrano rispondere perfettamente le parole di San Benedetto ricordate dalla suora. Il riferimento è al capitolo settimo della Regola, dove a proposito del dodicesimo grado dell'umiltà San Benedetto parla del monaco che “pervenuto all'amore scaccia il timore”.
“L'amore autentico scaccia il timore quando l'individuo riconosce di non saper amare – dice il Santo citato dall'abadessa -, quando vive l'esperienza cocente, dolorosa e umiliante di non riuscire spontaneamente ad amare l'altro. La paura nasce da qui: ci si rende conto che amare l'altro ed essere amati con le proprie paure, debolezze e viltà è uno sforzo difficile. Si comincia ad amare davvero solo dopo aver sperimentato la nostra incapacità di amare e il bisogno di attingere a questo amore da Dio”.
“L'inizio dell'amore è allora un grido di sgomento e impotenza – continua la superiora ricordando San Benedetto -. È il grido di Sant'Agostino nelle 'Confessioni' e di tanti altri santi che riconosco la propria inadeguatezza ad amare. Ma tutto cambia quando il 'grido di Dio squarcia la sordità umana'. Quando s il grido impotente dell'uomo si incontra con quello di Dio che non vuole perdere la sua creatura nascono l'amore e il desiderio di salvezza. Liberi dai lacci della nostra perfezione e nudi alla presenza dell'altro iniziamo finalmente ad amare e permettiamo di essere amati. Possiamo mostrarci così come siamo, con le nostre ferite, le nostre cicatrici. Dio sarà il primo a prendersene cura. Diventiamo allora lentamente responsabili della vita dell'altro e arriviamo a desiderare che viva dentro di noi”.
“Ci vuole molto coraggio ad amare diceva la volontaria Annalena Tonelli, menzionata dalla superiora di San Raimondo - . Bisogna essere audaci, arditi, osare continuamente. Amare è guardare Dio dentro l'altro come in un vetro tersissimo e saperci entusiasmare”. Solo così l'amore diventa veramente cristiano – ha sottolineato Madre Emmanuel in conclusione -. La vera forza dell'uomo per vincere il male in sé e attorno a sé è andare alla fonte dell'umile amore, che prende vita da Dio. Un amore attinto nell'eucaristia: l'espressione più vera ed efficace di un Dio umile che si lascia mangiare per nutrirci del suo amore”.
Micaela Ghisoni
domenica 28 aprile 2024
sabato 27 aprile 2024
Santa Franca
“Papa Francesco mette in chiaro la differenza tra cristiani abituati e cristiani innamorati”: cosi don Maurizio Noberini ha delineato la figura di Santa Franca, nella sua festa il 25 aprile, nella chiesa di San Raimondo a Piacenza dove è collocata la sua tomba. Don Maurizio, parroco della comunità cittadina che ha preso il nome della Santa, ha guidato la celebrazione affiancato da don Luigi Chiesa, don Franco Capelli e don Giovanni, un sacerdote pellegrino sulla via Francigena.
Santa "vivae vocis oraculo"
Santa Franca, nata nel 1175 da una famiglia nobile dei conti di Vitalta nel territorio piacentino, è una figura di spicco nella storia religiosa del Medioevo italiano. Entrò giovanissima nel monastero benedettino di San Siro, uno dei più fiorenti dell'epoca, dove già a quattordici anni pronunciò i voti solenni. Nel 1198, alla morte della badessa Brizia, Franca fu eletta per guidare il monastero. Nel 1214, ispirata da Carenzia Visconti, Franca accettò l'invito a fondare un nuovo monastero cistercense sul Montelana. Divenne badessa del nuovo monastero, continuando a gestire anche San Siro per un periodo. La comunità si trasferì poi a Pittolo per motivi di sicurezza, evidenziando le sfide logistiche e di sicurezza che i monasteri spesso affrontavano. Santa Franca morì il 25 aprile 1218, e il suo corpo divenne oggetto di venerazione, riconosciuto come mezzo attraverso il quale Dio operò molti prodigi. Le sue spoglie, dopo varie traslazioni, riposano ora nella chiesa delle Benedettine di San Raimondo a Piacenza. Secondo la tradizione, Franca fu proclamata santa "vivae vocis oraculo" da Papa Gregorio X nel 1273. Sebbene non esista una bolla formale di canonizzazione, il suo elogio si legge ogni anno nel Martirologio Romano il 25 aprile. La storia di Santa Franca è emblematica della vitalità e della complessità della vita monastica femminile nel Medioevo, mostrando come le figure religiose potessero influenzare profondamente non solo la spiritualità ma anche le dinamiche sociali e politiche del loro tempo.
Un bagno di santità
Dalla figura di Franca emerge una donna profondamente innamorata di Cristo ed è quello che ha voluto mettere in evidenza don Noberini, sottolineando come la sua vita è stata un vangelo vivente. Commentando la Scrittura in cui si è ascoltata la preghiera di Gesù che ringrazia il Padre perché ha nascosto la bellezza della fede ai sapienti e ai dotti, don Maurizio ha sottolineato che non si tratta di un elogio dell’ignoranza, ma è quello che dice anche l’apostolo Paolo: “Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il vangelo; non però con un discorso sapiente, perché non venga resa vana la croce di Cristo”. La sapienza dunque per don Maurizio è fondata non su discorsi dotti, ma sull’amore come quello che ha vissuto santa Franca e che ancora oggi prosegue nella vita delle monache con la loro testimonianza di adesione totale a Cristo “Il Signore vuole da noi - ha affermato don Noberini - un rapporto di amore intimo, di amore personale… Uscendo da questa chiesa - ha concluso - dobbiamo andare fuori cambiati, perché abbiamo fatto un bagno di santità, proprio attraverso il ricordo di Santa Franca”.
Uomini e donne di pace
Al termine della celebrazione la badessa del convento di san Raimondo, madre Emmanuel Corradini, ha ringraziato il Signore, i sacerdoti, i diaconi e tutti i presenti con cui si è vissuto un momento di fede e fraternità. “Coraggio - ha detto - andiamo avanti, abbiamo i santi tra di noi e il Signore non farà mancare la sua grazia”.
Don Noberini ha poi evidenziato l’importanza del convento delle monache benedettine nella città che, in questi ultimi anni, è diventato molto vivo grazie alla presenza di nuove vocazioni. Sull’esempio di santa Franca, che ha portato il suo contributo per la pacificazione nella Piacenza di allora, don Maurizio ha infine impartito la benedizione affinché il Signore illumini il nostro periodo storico e ci faccia diventare uomini e donne di pace. La festa è proseguita, nello stile dell’ospitalità benedettina, sul piazzale della chiesa dove tutti i partecipanti hanno potuto gustare delle piccole delizie preparate dalle monache.
sabato 13 aprile 2024
Perfetta carità
“Questa sera tratteremo il tema del vertice della Carità e dell'amore. Una questione da approfondire proprio dopo la Pasqua, perché solo dopo aver incontrato Gesù Risorto si può vivere la radicalità dell'esperienza di amore verso i propri nemici: è una grazia che solo il Signore ci può dare, ma bisogna andare in punta di piedi e avere l'umiltà di chiedere il suo aiuto”. Così lo scorso 6 aprile madre Emmanuel Corradini ha introdotto dopo la Pasqua la sua meditazione nel monastero di San Raimondo.
Amare i nostri nemici
La religiosa ha citato ai presenti il capitolo sesto del Vangelo di Luca. “A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo; perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi e fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi”.
Il Signore ci chiede allora di amare - ha spiegato la Madre - , chiede l'adesione dei suoi discepoli in termini radicali. Dice che fare del bene a coloro che ci amano non è niente di eccezionale, l'eccezionalità sta nel compiere qualcosa di buono verso chi ci ha fatto male, rispondendo al male con il bene. Comprendiamo quindi che l'atteggiamento di non violenza per noi cristiani non è dettato da un buon comportamento. Il cristiano è colui che assume dentro di sé l'atteggiamento convinto che l'amore di Dio e la sua potenza gli permettono di affrontare il male con le armi dell'amore e della verità. Come diceva Benedetto XVI, l'amore del nemico costituisce la vera rivoluzione cristiana: non basata su strategie di potere economico, politico o mediatico, ma fondata su un amore che non poggia su risorse umane. Un sentimento che è dono di Dio, e si ottiene confidando unicamente e senza riserve nella sua bontà misericordiosa”. Ecco la novità del Vangelo - sottolinea - , ecco perché noi celebriamo la festa della Misericordia di Dio: è la Misericordia a sostenere le sorti della storia, e amare i nemici è il contributo più importante che il cristianesimo può dare alla civiltà”.
Qual è la perfezione della carità
Poi ricorda Sant'Agostino, secondo cui la “perfezione della Carità è amare i nemici, amarli perché diventino fratelli. La nostra carità non deve infatti essere secondo la carne. Ama i tuoi nemici perché entrino in comunione con te, così come amò colui che pendendo dalla Croce disse Padre perdonali perché non sanno quello che fanno”. Se chi ci ha fatto del male diventa un fratello - ha quindi osservato la superiora di San Raimondo - , vuol dire che la sua vita e la sua salvezza ci interessano. L'altro non è allora qualcuno da eliminare, il suo benessere o malessere fanno per noi la differenza, anche se ci ha provocato dolore. Altrimenti Gesù è nato invano, la Sua morte e Resurrezione non sono servite. Ma se sentiamo Cristo vivo e risorto in mezzo a noi, allora Lui, che ha vinto la morte e ha fermato il male con la carità, ci renderà capaci di fare altrettanto e di amare i nostri nemici”.
Come riuscire a vivere un'esperienza così umanamente difficile e radicale? “Dobbiamo innanzitutto credere sul serio al Vangelo e cercare un rapporto con Gesù, coltivarlo – ha spiegato la superiora - . Non a caso ho detto che il tema della perfetta carità si può capire bene solo dopo la Pasqua. È in quel momento che Gesù dice ai discepoli pace a voi. Proprio quando sono impauriti dentro al Cenacolo e si guardano con sospetto, lui li rimette insieme e dona loro lo Spirito Santo per il perdono e la remissione dei peccati. Anche noi non dobbiamo quindi guardare alla fatica che facciamo a perdonare, ma al dono che il Signore ci dà. Dobbiamo ricordarci che la Sua grazia ci renderà capaci di un amore sovrumano e che Gesù ci comanda l'amore senza limiti solo dopo aver donato sé stesso. Per riuscire a perdonare i nemici bisogna prima di tutto restare attaccati a Dio".
Santa Teresa di Liseux
Lo dice perfettamente Teresa di Liseux. “Alle anime semplici non servono mezzi complicati - ha scritto la Santa poco prima di morire - . Poiché io sono tra queste, una mattina durante il ringraziamento Gesù mi ha dato un mezzo semplice per compiere la missione. Mi ha fatto capire queste parole del Cantico dei Cantici: 'attirami, noi correremo all'effluvio dei tuoi profumi'. Dunque, Gesù, non è nemmeno necessario dire attirando me attira le anime. Basta semplicemente che io dica attirami e le anime le salvi tu. Madre amata, ecco la mia preghiera: chiedo a Gesù di attirarmi nelle fiamme del suo amore, di unirmi così strettamente a Lui che egli viva e agisca in me. Quanto più dirò 'attirami', tanto più le anime si avvicineranno a me e di conseguenza a te”.
Anche i discepoli erano povere persone come noi – ha quindi spiegato l'abadessa -, l'unica cosa rimasta loro era l'attaccamento a Gesù. Non hanno capito tutto quello che Lui ha fatto, ma con il loro attaccamento a Cristo questi 12 hanno cambiato il mondo. Anche noi dobbiamo prima di tutto essere attirati da Gesù, se vogliamo vivere la carità e arrivare a perdonare”.
La preghiera del Padre Nostro
La seconda condizione per riuscire ad amare chi ci ha ferito è la preghiera - osserva poi Madre Emmanuel -. Dobbiamo pregare come ha fatto Gesù, dicendo «Padre perdonali perché non sanno quello che fanno». Una preghiera può essere povera, semplice, può consistere solo in un'invocazione: ma pregando si passa dal rancore alla pietà, dal giudizio alla misericordia, dal desiderio di vendetta verso l'altro a mettersi in ginocchio per lui. A cambiare è il proprio atteggiamento interiore verso chi ha fatto del male”.
“La preghiera per il nemico dovrebbe essere per ciascuno di noi la prima del mattino” – ha detto infatti Padre Zenone negli apoftegmi del deserto, citati dalla suora. Così ha fatto anche Padre Paisios pregando per chi aveva rinnegato Cristo. Solo chiedendo la salvezza di chi ha mortificato il nostro io, saremo sicuri di avere la fortuna di essere tra i salvati, di essere dalla parte di chi cade e non di chi uccide.
Poi Madre Emmauel cita ancora una volta Sant'Agostino, che con il suo monito rende chiaro il processo progressivo verso il perdono.
“Sono due i nemici che devi temere – spiega il santo, menzionato dall'abadessa -. Il primo è di carne e sangue, e aggredisce in te quello che hai di materiale. Ma c'è in lui un altro nemico invisibile, occulto: il sovrano delle tenebre. Tu non lo riesci a pensare, ma a lui interessano i tuoi tesori interiori. Mettiti dunque dinanzi agli occhi due nemici: uno lo vedi, l'altro è nascosto. Ama il primo e guardati dal secondo”.
“Se ci si intestardisce ad odiare il nemico visibile - ha quindi spiegato Madre Emmanuel in conclusione - quello invisibile porterà lentamente lontano da Dio, un bene ben più prezioso delle cose materiali. Dobbiamo allora avere l'umiltà di capire che la decisione di operare per il bene è fatta di scelte quotidiane, di rinunce e proponimenti, e solo con la preghiera e nella relazione con Cristo possiamo arrivare a perdonare. Non importa se non è un processo spontaneo, se umanamente non riusciamo a compiere questo passo. Basta lasciare aperto un varco nel proprio cuore, avere in sé un sincero desiderio di perdono, e sarà Dio con la Sua grazia a renderci capaci di carità e amore verso i nemici. Solo così ciascuno di noi potrà allora dire: fermando il male ho vinto il mondo”.
Micaela Ghisoni
Pubblicato l'11 aprile 2024 (ilnuovogiornale.it)
sabato 30 marzo 2024
martedì 19 marzo 2024
E' possibile amare?
“Allora si aprirono gli occhi di tutti e due (Adamo ed Eva) e conobbero di essere nudi”
A fronte dell'ombra del Peccato Originale cosa rimane allora all'uomo a cui aggrapparsi?
Come riuscire quindi a fare in modo che Dio ci aiuti ad imparare l'amore?
L'esempio della Samaritana
“Abbiamo sete d'amore e dobbiamo riconoscerlo: andiamo allora come la samaritana al pozzo di Sicar ad attingere acqua, che oggi è l'eucarestia, la Parola, la Chiesa. A dare un senso alla vita non sono le tante possibili strade costruite da noi: a contare è una strada sola, vissuta nell'amore e per amore. Un amore destinato a rimanere anche dopo la morte.
Micaela Ghisoni
dal sito ilnuovogiornale.it
venerdì 9 febbraio 2024
martedì 23 gennaio 2024
PREGHIERA DEL CUORE
Oggi siamo sommersi dal clamore delle parole e non diamo voce alla parola che proviene dal silenzio. I monaci nel capitolo vi della Regola di san Benedetto sono invitati ad amare il silenzio per custodire la Parola, perché la Parola ascoltata possa essere ruminata, amata, possa diventare luce, sale e forza, e quindi il parlare diventi dire bene. Ma per riempire l’anima bisogna fare silenzio, bisogna riempirsi della Parola di Dio, lasciarla decantare e, una volta decantata, questa Parola diventa ricchezza, luce, pace e consolazione. Quindi senza silenzio in realtà l’uomo perde sé stesso perché perde la propria interiorità. Vivere l’interiorità è necessario per ritrovare il senso dei valori e soprattutto il senso della preghiera.
Sappiamo che la parola uccide l’altro, può essere motivo di contesa, di divisione. Tante volte non si vuole fare del male ma attraverso una parola detta male o in modo sbagliato o nel tempo sbagliato, la parola assume un significato diverso da quello che volevamo dare. Allora la vita interiore ci aiuta a custodire le parole, a portarle in fondo al cuore dove dovrebbe abitare il Signore. E se queste parole vengono amalgamate con la presenza del Signore ritornano alla superficie con un peso, un significato, un senso molto diverso da quello che avevamo prima sulla bocca. Dobbiamo fare in modo che le parole prendano sempre di più la dimensione della Parola di Dio, che le nostre parole diventino preghiera.
Per pregare non c’è bisogno delle grandi cattedrali. Noi non comprendiamo capiamo il bisogno che abbiamo di Dio. Corriamo, facciamo tante cose, andiamo a cercare di riempire il nostro vuoto con le tante cose che ci provengono da fuori e non vediamo che il primo che ci riempie il cuore è Lui che nel tabernacolo silenziosamente è pronto a darsi a noi, se solo lo vogliamo. Eppure le chiese sono vuote perchè l’uomo non sente il bisogno di Dio, ma solo di parole rassicuranti, parole che ci dicono che siamo bravi, che siamo belli… ricorrendo a Dio quando le situazioni sono difficili.
Questa è la preghiera che ci unisce, questa è la preghiera che non va mai persa. Ad alcuni genitori dico che la cosa più importante che possono fare i per i loro figli, che magari sono grandi e non li ascoltano molto, è pregare. Un genitore prima ha sopperito alle necessità materiali, poi a quelle culturali (scuola) poi è il tempo della preghiera in cui consegnare quello che hai di più prezioso a Dio. Gesù Cristo sul monte pregava per noi per poi consegnarci al Padre e durante il giorno raddrizzava storpi, zoppi, ciechi. Portava l’umanità davanti al Padre. Questo è il ministero principale di Cristo.
Madre Maria Emmanuel Corradini
venerdì 19 gennaio 2024
L'Eucaristia
“Il Signore ci chiede di essere noi stessi fino in fondo: così, attraverso l’eucaristia, ci permette di essere gli uni con gli altri senza essere giudicati”. Con queste parole madre Maria Emmanuel Corradini, nel corso della catechesi di sabato 4 marzo nella chiesa di san Raimondo, ha spiegato l’importanza dell’eucaristia e della comunione, cuore della Chiesa ed essenza del cristiano. “Gesù si consegna a noi – ha proseguito – non ci chiede di capire ma di credere che Lui, sulla croce, ha portato tutti i nostri peccati. Non c’è più niente da pagare, ha pagato tutto lui. Il suo sacrificio raccoglie tutti i sacrifici del mondo. Possiamo solo inginocchiarci e rimanere in silenzio, guardare all’amore che Dio ha per noi e non scappare”.