Lectio sull'episodio di Zaccheo nel Vangelo di Luca (Lc 19,1-1).
Si è
scritto molto sulla figura di Zaccheo, molti sono stati i commenti. Quello che
dovrebbe accadere oggi davanti ad una pagina così bella, è di scrivere il vangelo
di Zaccheo nel nostro cuore. Tanti sono i suggerimenti che questo Vangelo ci
propone, ma troviamone almeno uno che smuova il nostro cuore.
Zaccheo è il capo dei pubblicani, è ricco ed è piccolo. Non ha
una bella partenza, come tante volte anche noi. Siamo piccoli in carità,
piccoli in modestia, piccoli in capacità. Tante volte anche noi siamo
pubblicani, mercenari dell’amore di Dio. E siamo ricchi di noi stessi, il
nostro io la fa da padrone. Non è una bella carta d’identità quella di Zaccheo,
come del resto non lo è la nostra. Tante volte ci mettiamo tutta la vita ad
aggiustare questa carta d’identità, questa immagine che noi dobbiamo dare di
noi stessi. Essere una brava donna, una brava monaca…, in modo che gli altri
possano dire: è stata proprio brava! Ma non si conquista così la salvezza. La salvezza
dal Signore viene gratuitamente, indipendentemente dalla nostra carta d’identità;
al Signore interessa che un figlio della perdizione, che ha bisogno di essere
salvato, trovi la via della salvezza. A Gesù interessa questo, ed è venuto per
questo. Ma sia Zaccheo che Gesù bisogna che si incontrino; se nel cammino della
mia vita, voglio convertirmi bisogna che il mio desiderio di Lui si incontri
con la Grazia, altrimenti non scatta la possibilità dell’incontro.
Il desiderio da solo senza la Grazia non produce nulla, e la
Grazia da sola senza il desiderio non può arrivare. C’è bisogno di tutte e due
le cose. Ecco perché oggi è accaduto il miracolo a casa di Zaccheo. Perché
Zaccheo esce da casa, non credo solo per curiosità, esce da casa per un
desiderio profondo, forse ha un vuoto che lo spinge: “se di quell’uomo parlano
così bene, chissà che non dica qualcosa anche a me”. Quante volte ci muoviamo
dalla nostra casa perché siamo vuoti, perché andiamo alla ricerca di qualcosa,
di qualcuno attraverso un pellegrinaggio, un santuario, uno che parla bene,
dica qualcosa che vada bene per me, che riempia il mio vuoto. E magari la soluzione
dei miei problemi lo ho alla porta accanto, ho un uomo, o una donna di Dio, c’è
il Signore in una chiesa che mi dice: io sono qui ad aspettarti.
Zaccheo esce spinto, credo, da questo desiderio e forse la
folla gli impediva tante cose, anche di essere se stesso, e compie un cammino,
compie un tragitto che lo porta a fare una fatica. Sale su un sicomoro, che è
definito “l'albero dai fichi fasulli”, cioè non serve a niente. Gesù è salito
anche lui sul legno della Croce, è salito sull'albero che tutti ritenevano
inutile, e anche oggi molti ritengono inutile. Ma sono duemila anni che il Signore
dall’albero della croce attrae a sé ogni uomo. Quello che agli occhi del mondo
sembra insignificante, anche brutto da vedersi, è motivo di salvezza.
Zaccheo sale su un albero che non è in grado di dare la
vita, per avere la vita c’è bisogno che Gesù passi sotto quell'albero. Gesù è
venuto apposta da Gerusalemme a Gerico e ha fatto una sosta: “oggi devo".
Perché si compia la salvezza c’è bisogno che Gesù passi
sotto casa mia, passi nel mio cuore, alzi lo sguardo e mi dica: - Zaccheo! cioè
mi chiami per nome.
Zaccheo voleva vedere, ma prima di tutto è stato visto, e
lui si è sentito visto e letto nell’amore.
Tutte le volte che incrociamo lo sguardo di Gesù nel crocifisso,
nell’Eucaristia, chiediamoci se noi ci sentiamo chiamati per nome e salvati. Se
accade così, il nostro cuore è inondato di gioia, il nostro cuore si ri-centra
tutto lì. E le preoccupazioni, i castelli, le tante cose da proporre e da fare
hanno un altro aspetto. Ri-centriamo la vita su quell’albero della croce,
sentiamoci chiamati per nome, sentiamoci guardati con amore. E forse allora
anche il mio sguardo vedrà le cose con occhi diversi.
Mi soffermo su un’altra cosa molto bella.
Zaccheo scende, è pieno di gioia, non dice parole, è il suo
volto che dice che è pieno di gioia, è il suo corpo che salta. Quando noi
incontriamo il Signore, quando incontriamo degli uomini e delle donne di Dio si
vede dal volto, si vede dagli occhi, si vede dal tono della voce, si vede dalla
loro gentilezza, dalla loro capacità di fermarsi, di ascoltare.
Gesù, chiama Zaccheo, che, pieno di gioia, lo fa entrare in
casa sua.
Il verbo usato per dire che Gesù entrò nella casa di Zaccheo
è il verbo greco che indica lo “scivolare" nella culla, entrare in una
culla.
La delicatezza di Dio è questa: entra nel nostro cuore in
punta di piedi, entra come bambino, entra come colui che non vuole disturbare,
ed entra nel nostro cuore come in una culla, cioè come in un luogo dove porre
dimora. É il mistero dell'Incarnazione, che ha salvato Zaccheo. Gesù è venuto per
lui, Gesù viene per noi. Gesù ha preso la carne di Zaccheo, ha assunto su di sé
la carne di Zaccheo. Vedete che il mistero pasquale, la croce, è sempre unito
al mistero dell’Incarnazione, Gesù entra come nella mangiatoia di Betlemme,
piccolo, indifeso, ma capace di assumere la mia carne e salvarla. Se uno fa
esperienza di questo, la vita cambia. Ma per fare questo bisogna volerlo,
bisogna desiderare che Gesù entri nella mia casa. E dopo, come dice il Vangelo,
darò via la metà dei miei beni, che non sono solo i soldi, sono anche le mie
doti, cioè dò via me, dono me stesso agli altri.
Questo Vangelo ci insegna che il nostro incontro con Gesù è
una questione di vita, perché chi non lo incontra continua a mormorare, come fa
la gente di Gerico, continua a “fare il giornalista”, che scrive sugli altri,
sa solo guardare la vita e i difetti e le cose che accadono agli altri, e
magari perde la propria vita. Zaccheo si è lasciato guardare, ha fatto entrare
Gesù e ha permesso che Gesù assumesse la sua carne.
Per Zaccheo quel giorno è Natale. Amen.
Madre Maria Emmanuel
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