lunedì 18 giugno 2018

XI Domenica del Tempo Ordinario


Siamo di fronte ad una Parola che può suscitare qualche sana inquietudine...
Il Vangelo ci vuole spiegare cos’é il Regno di Dio.
“È come un uomo che getta il seme sul terreno, dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce…
È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra” (Mc 4,26-34).
Gesù alla folla spiega, attraverso la parabola, che cosa è accaduto nel cuore di Dio. Egli esce e getta il seme che è il Figlio.
Il Regno di Dio è il volto di Gesù: significa entrare nel cuore di Cristo, è la comunione e la partecipazione in lui.
Gesù entra in noi come una cosa invisibile, silenziosa, piccolissima, si fa vivo, dentro la nostra vita, nel battesimo e apparentemente non cambia nulla, ma in realtà Cristo cresce all’interno di ciascuno.
Bisogna porre molta attenzione perché questo piccolo seme, senza imporsi alla nostra vita, pone le sue radici e cresce.
Allora l’incontro con Gesù provoca una responsabilità, non è  soltanto“questione di cibo o di bevanda”, devo porre molta attenzione al rapporto con Dio e ciò cambia la mia posizione rispetto alla vita, devo cercare il regno dentro di me, devo ascoltare ed essere attento al mio cuore.
Però non stando mai in silenzio, senza una vita spirituale, non permetto al suo regno e al suo amore di potersi incarnare nella mia vita.
La crescita del regno, dentro di me, può avere anche momenti, anni muti e silenti, cresce senza sapere né come né quando, poi un giorno c’è l’incontro arriva il momento del “faccia a faccia” con Dio.
Spesso qualcuno dice: “Ho incontrato il Signore”. Ma Lui era già presente è cresciuto dentro di te. Ha atteso che tu ti accorgessi di Lui….
Questo incontro provoca una ferita, una lacerazione però benefica e positiva, come la dilatazione nella carne al momento del parto che è per la vita.
Il Signore si fa largo dentro di noi lasciandoci una nostalgia, un desiderio, oppure un senso di contrizione questo non per sminuirci, per abbatterci, ma per rinnovare la carne putrefatta…
Insomma questo granellino di senape diventa un albero che poi prenderà forme della croce, altrimenti non c’è salvezza…
La croce diventa, dentro di noi, uno scudo contro gli attacchi del maligno, una custodia contro il proprio orgoglio e l’autodifesa, ma soprattutto espressione più alta dell’amore di Dio.
Quindi l’albero della croce non può lasciarci indenni, provoca una ferita che ci invita al rinnovamento interiore. Ci invita ad una relazione. Arriva poi il giorno in cui il volto di Dio si fa visibile e spetta a noi il “faccia a faccia” con Lui, è il giorno della verità su noi stessi.
Faccio crescere questo albero che è la sua croce, la carne di Dio? Oppure ho ridotto il mio rapporto con Lui solamente a fare alcune cose?
Se non c’è questa verità noi partoriamo vento, la nostra vita non ha consistenza, le nostre parole non hanno forza…
Cristo non mi ha fatto violenza, è cresciuto dentro come un virgulto, ma in che posizione sta nel mio cuore?
Com’é brutto passare tanti anni senza accorgersi che c’è il Signore. Certo si può continuare a vivere senza Dio, però si è perso un rapporto di intimità, di amore, di attenzione…
Al ladrone del Vangelo gli è capitata la cosa più bella, chiede a Gesù: “Fammi entrare nel tuo regno”.
La risposta di Cristo è: “Oggi sarai con me”.
Perché allora aspettare per trasformare la nostra vita in una anticipazione del paradiso?
Amen
(trascrizione non rivista dall’autrice)

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